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La malattia come espressione del karma
Di: Alberto Rampino
Tutti noi
abbiamo confidenza col concetto di karma,
almeno nelle sue linee generali; possono forse ancora sfuggirci le sottili
relazioni e le reciproche influenze fra karma
dei diversi individui, così come può non essere ancora del tutto chiaro quando
determinati aspetti della nostra vita appartengono al puro karma individuale o quando sono il risultato dell’intreccio appena
accennato. Da sempre, nella ricerca e nello studio del lato “nascosto” delle cose, degli aspetti
sottili della vita e delle loro manifestazioni, si è cercato di trovare un
nesso fra il karma e le malattie che
affliggono l’umanità perché, sebbene illusoriamente ci sembri che le malattie
cambiano e si trasformano al passo coi tempi, in realtà, nella loro essenza sono
sempre le stesse, così come le medesime sono le cause profonde che ne
giustificano le manifestazioni. Nonostante ciò, origini e cause della malattia
sono state oggetto di innumerevoli indagini e speculazioni e se ne sono dedotte
una gran quantità di cure definite; sono stati elaborati metodi, tecniche,
ricette e soprattutto teorie. Tutto ciò ingombra la mente con una varietà di
idee fra loro diverse, alcune forse anche esatte, altre meno, e rende difficile
accedere a concezioni nuove, per poter assimilare quanto non ancora noto.
Il più
celebre degli studiosi e medici che fra i primi cercò di affrontare l’argomento
fu Paracelso, in quella sua distinzione fra i vari tipi di malattie umane, in
cui un capitolo del tutto particolare fu dedicato proprio alle “malattie karmiche” che, a differenza di
tutte le altre per le quali esiste sempre una soluzione praticabile con mezzi
classici, esaltano in un certo senso la misura dell’impotenza umana di fronte
agli aspetti “sottili” della vita e
prevedono, come unica possibilità di approccio, la preghiera profonda e
sincera, null’altro. Ma c’è in questo tipo di preghiera un risvolto molto poco
passivo e per nulla banalmente fideistico; ritengo egli intendesse sottolineare
l’aspetto profondamente trasformatore della preghiera, come di un atto rivolto
alla congiunzione dell’uomo col proprio Sé superiore, al fine di entrare,
consapevolmente, in quella dimensione della Coscienza che è l’unica in grado di
avviare profonde e radicali trasformazioni nell’uomo. In questo gli alchimisti,
di cui Paracelso è uno dei più maestosi esponenti, manifestavano un proposito
che è lo stesso dei maestri dell’omeopatia, di quella fondamentale e pura, che
è quello del “versare in terra”, di
immettere, cioè, nelle azioni di ogni giorno quell’ampliamento della coscienza
che rappresenta l’unico e vero atto di guarigione, in qualunque ambito. Diceva
infatti J. T. Kent, uno dei Padri dell’omeopatia classica, …non vi è vera guarigione senza dilatazione della coscienza… e, vorrei
personalmente aggiungere, se ciò che è
stato acquisito non diventa azione di vita! In effetti, estremizzando, si
potrebbe tentare di correggere la suddivisione paracelsiana, affermando che
alla radice di ogni malattia, piccola o grande, lieve o grave, c’è sempre la
Legge del Karma, quella che
normalmente definiamo come Legge di
Causa-Effetto e che, dunque, qualunque forma di alterazione dell’equilibrio
dell’organismo, dal livello fisico ai livelli via via più sottili, è sempre una
questione di karma prodotto e di
effetti subiti.
Considerando
la peculiarità dell’argomento, la conseguente notevole incertezza ci mette al
riparo dal rischio di formulare concetti “certi
e indubitabili” e ci impone una doverosa cautela, sia nel livello
espositivo verbale dell’aspetto teorico e speculativo sia, ancor di più, nella
descrizione dell’atto terapeutico propriamente detto. Certo, è strano parlare
di “cautela”, di “incertezza” quando, al contrario, un terapeuta dovrebbe essere
guidato proprio da certezze nel momento in cui affronta la malattia e cerca di
accompagnare un altro individuo attraverso un percorso di guarigione. Chi si
pone al servizio degli altri in questo ambito dovrebbe iniziare ponendosi una
domanda imprescindibile: “Che cosa si
deve realmente curare?” Cercare la risposta è questione che riguarda la
sensibilità e l’intuizione di ogni singolo terapeuta che si ponga
l’interrogativo nei termini in cui interpreti il suo compito come una missione,
come colui che è consapevole che la salute può essere ristabilita solo sapendo
che, oltre all’involucro di materia fisica, esistono altri corpi, con funzioni
responsive più sottili e che scopo dell’uomo nella vita, al suo attuale stadio
di evoluzione, non è quello di essere più o meno felice, ma di conseguire il suo
Archetipo, nel rispetto delle Leggi di Natura. E’ la conoscenza e il rispetto
di tali Leggi che ci mette in condizione di rendere libera la nostra volontà e,
poiché le azioni compiute non sono altro che la risultante di una serie di
forze del pensiero e del sentimento, quindi del nostro mondo interiore, abbiamo
bisogno di comprendere che anche questo mondo interiore è governato da quello
stesso ordine e dalle medesime leggi: Come
in alto, così in basso!
Noi oggi
sappiamo che l’intero universo è un’espressione dell’Energia, la quale cambia
in continuazione di forma; il moto si trasforma in luce, in calore, in
elettricità e così via, da una trasformazione all’altra. Anche l’uomo è un
serbatoio di questa energia che assorbe attraverso i cibi e che trasforma in
lavoro e nei movimenti del suo corpo. Durante tutto il corso della vita noi
siamo dei trasformatori di quest’energia che modifichiamo in continuazione, in
ciò che possiamo definire come bene o
male. La Legge del Karma esprime la relazione di
causa-effetto in questo processo di trasformazione dell’energia, prendendo in
considerazione non soltanto l’universo visibile, con le sue forze, come fa la
scienza, ma anche quell’invisibile, più vasto universo di forza, che è la vera
sfera dell’attività umana. Ogni pensiero e sentimento dell’uomo interviene
nella sua relazione con l’universo ed in quella dell’universo rispetto a lui;
dunque il karma è, anch’esso, la
risultante di una forza e dei suoi effetti, che possono interessare i livelli
della materia, dai più grossolani a quelli più sottili. Avere aspirazioni,
progetti, pensieri, sensazioni, fare cose, tutto questo significa mettere in
moto le forze di più mondi compenetrantisi fra loro; dall’uso che facciamo di
queste forze dipende il fatto se aiutiamo l’evoluzione o se, viceversa, la
ostacoliamo, da cui le azioni del bene e/o del male e, nel caso in cui la
ostacoliamo violando le Leggi di Natura, allora creiamo karma. Infatti, l’uomo non è isolato, in quanto unità di un’umanità
composta da miliardi di altri individui ed è altresì, come sappiamo dalla
biologia, un sistema “aperto”, in
continuo scambio di energia con l’ambiente circostante. Per cui ogni suo
pensiero, sentimento, azione, si ripercuote sull’intero sistema, umano e
ambientale, in proporzione alla vicinanza e produce un risultato (effetto) che
tornerà ad agire sulla stessa causa, su lui stesso, secondo una circolarità in
cui la causa determina l’effetto che, a sua volta, diviene la causa di nuovi
effetti e così via.
Da quanto
fin qui detto, non può sfuggire il profondo legame che esiste fra il karma e il nostro ambiente, primo fra
tutti per importanza quello familiare. La famiglia trasmette l’eredità in cui
sono state sviluppate le qualità dei materiali fisici ed eterici che si
adattano alla costituzione; una famiglia la cui speciale organizzazione fisica
permetterà l’espressione della natura caratteristica mentale e passionale
dell’ego. L’intreccio del destino umano è composto da innumerevoli fili,
intessuti in uno schema di grande complessità. Noi possiamo essere in grado di
scorgere solo un frammento di questo intreccio e farci delle opinioni basate
solo su un aspetto estremamente ridotto, credendolo tutto il quadro, cadendo
così vittime dell’errore causato dalla presunzione. Ma, ricordiamo in proposito
le parole di Giamblico: “Quello che a noi
sembra una definizione perfetta della Giustizia può non apparire tale agli Dei.
Perché noi vediamo quello che è più vicino, dirigiamo la nostra attenzione alle
cose presenti ed a questa temporanea vita ed alla maniera in cui essa sussiste;
ma le Potenze a noi superiori conoscono tutta la vita dell’anima e tutte le sue
vite precedenti”. I nostri genitori, quindi, la nostra eredità genetica,
sono parti del nostro fato, in grado di determinare in modo preciso tutta quella
serie di risposte che daremo ai conflitti arcaici relativi alle nostre memorie
biologiche, che conosciamo meglio coi nomi di comportamento e malattia;
a seconda della profondità del conflitto e della prontezza del nostro “programma” a rispondervi, potremo
risolvere tutto adottando un certo tipo di comportamento adattativo all’istante
o, viceversa, non saremo in grado di rispondere con una memoria genealogica già
pronta e allora la risposta non sarà indolore e innescheremo quel processo
precario di adattamento, ma pur sempre evolutivo, che è, appunto, la “malattia”. Il profondo legame fra
questo programma e l’eredità genetica deriva dal fatto che, come individui, noi
proveniamo dal passato, dove abbiamo stabilito dei legami karmici con altri
individui e, quindi, ci incarniamo dove ci è possibile incontrare quegli
intrecci, col preciso scopo di risolverli o di scontarli e di innescare le
condizioni per procedere nel nostro ulteriore cammino. Ora, poiché le attività
dell’uomo dipendono in gran parte dal suo corpo, dalle sue emozioni, dai suoi
pensieri, e tutto questo è dato e condizionato dai suoi genitori, ciò spiega
perché quell’ambiente e la sua eredità rivestono così grande importanza. Per
compiere il nostro lavoro nel corso dell’incarnazione, al fine di aiutare il
piano evolutivo, abbiamo bisogno di un corpo di carne soggetto a delle leggi,
la scoperta delle quali è in continuo progresso; dai fattori di cui questo
corpo è composto nei suoi vari livelli, dipenderà se esso ci agevolerà nel
compito o se, invece, porterà i segni profondi degli effetti del karma prodotto in vite precedenti e,
quindi, renderà più penoso il nostro lavoro. Non si tratta, come é facile
intuire, di una combinazione fortuita di fattori, ma delle conseguenze di ciò
che è stato stabilito per noi dai Reggenti
del Karma, i quali amministrano la Grande Legge di Giustizia che impone che
l’uomo raccolga ciò che ha seminato. Fra gli elementi forniti dalla stirpe
vengono scelti quelli più utili all’ego per il compito da svolgere e per lo
sviluppo progressivo della coscienza anche se, molto spesso, la nostra visione
superficiale, rivolta solo al lato forma, in grado di scorgere solo una minima
parte di tutta la complessa trama, ci mette in condizioni di resistenza e di
rifiuto di fronte alle apparenti “ingiustizie”
di quello che è comunque un disegno evolutivo.
Una volta
formato lo zigote, la prima cellula che si origina dall’unione dello
spermatozoo con l’ovulo, saranno i Reggenti del Karma che sceglieranno i
fattori necessari, non essendo l’ego, in quella fase, ancora in grado di farlo
autonomamente. Se nei successivi stadi della sua evoluzione l’individuo dovrà
sviluppare qualche caratteristica particolare, essi sceglieranno per lui i
fattori necessari, sia fisici che ambientali; ma se, contestualmente, la forza
interiore di quell’individuo dovrà essere stimolata da un qualche tipo di
sofferenza, anche in quel caso sarà procurato il fattore appropriato, spesso
individuato nelle malattie, ovviamente quelle di un certo spessore, con il loro
importante bagaglio di fattori concomitanti. Al riguardo è opportuno ricordare
che, in relazione all’attuale stadio evolutivo dell’umanità, il 90% delle cause
di infermità, fisica e psichica, ha origine nel corpo eterico e in quello
astrale, in quanto la coscienza dell’uomo risiede stabilmente in questi corpi,
con rare “puntate” sul piano del
mentale. Vengono dunque accuratamente scelti i fattori appropriati, necessari
al lavoro specifico e speciale, qualunque esso sia, che l’ego dovrà realizzare
nel corso di quell’incarnazione, compresi i fattori adatti per coloro che
dovranno evolvere a mezzo del dolore. In seguito, aiuti od ostacoli, gioie e
sofferenze, opportunità o privazioni saranno i mattoni fabbricati dall’ego
stesso per realizzare “l’abitazione”
temporanea che si presenti massimamente idonea allo svolgimento del suo
compito.
Ma non
deve trarci in inganno l’opera dei Signori del Karma; essi non creano nulla che l’uomo non abbia già predisposto
con il suo operato; l’ego individuale, infatti, viene, per così dire,
fabbricato da sé; le sue qualità, i suoi doni naturali, tutto ciò appartiene a
lui, divenendo così il risultato dei suoi pensieri passati. L’uomo in verità è
un’autocreazione responsabile di tutto ciò che egli é. Il sentiero che calcherà
sarà quello che egli stesso ha generato e qui si imbatterà in eventi di diversa
natura e colorazione, quale conseguenza delle forze che avrà messo in azione; i
suoi pensieri saranno i responsabili del futuro carattere, così come le azioni
compiute origineranno le circostanze della vita.
Ma il
nostro compito non è soltanto quello di sciogliere il karma individuale e realizzare il nostro Archetipo, ma anche e
soprattutto quello di aiutare l’evoluzione, senza creare ulteriore karma e
mettendoci a disposizione di un Piano che passa, imprescindibilmente, dalla
nostra crescita individuale. I più recenti studi nel campo della biologia
comportamentale chiariscono come ognuno di noi rappresenti, allo stesso tempo,
sia un fattore intermedio, ma anche l’elemento potenzialmente risolutore di
quelle sequenze a grande impatto emozionale, che si tramandano per linea di
sangue; ciascuno di noi può, quindi, incarnare l’anello finale in grado di “chiudere” una sequenza, nata in
risposta ad un preciso conflitto, apertasi lontano nel tempo nella nostra linea
familiare. In questo modo possiamo veramente, non solo aiutare noi stessi nel
superamento di un grande ostacolo sul cammino, ma aiutare tutta la nostra linea
di sangue presente, futura, ma anche quella passata, relativamente a quel preciso
tipo di conflitto contenuto nelle memorie del cervello biologico. La conoscenza
delle leggi che sono alla base dei nostri conflitti arcaici (“nostri” nel senso di specie), in grado di spiegare il perché
delle nostre specificità comportamentali e di dare anche un senso alla
malattia, ci permette altresì di comprendere il profondo valore evolutivo di
quest’ultima che potremmo definire con le parole di Hamer: “Parte di un programma sensato della natura, essa è un processo di
liberazione, nemico di ciò che è statico e cristallizzato”. Non per questo,
certo, dobbiamo accettarla di buon grado o, addirittura, con gioia…
Sul piano
fisico, la parte più antica del nostro cervello è la responsabile della messa
in atto di quelle strategie difensive, le malattie, finalizzate alla
sopravvivenza della specie. Può sembrare paradossale, ma quando l’individuo si
viene a trovare in una situazione drammatica, che potrebbe minare la sua
sopravvivenza, questa, che costituisce il programma fondamentale del cervello
biologico, lo scopo più importante della sua esistenza, impone a quest’ultimo
di provvedere alla soluzione, andando a pescare nelle memorie della specie
impresse nel cervello dell’individuo e, via via, in quelle familiari,
genealogiche, la miglior strategia per consentire l’adattamento, parola magica che sostiene tutto l’apparato per la
sopravvivenza della specie sul pianeta. Quel meraviglioso strumento che è
appunto il cervello costituisce la manifestazione vivente del concetto di Unità, in quanto non si occupa del singolo
individuo, ma di questo come parte del tutto rappresentato dalla specie di
appartenenza; le strategie che realizza divengono patrimonio di tutti gli altri
cervelli, come se si trattasse di un corpo unico. I conflitti capaci di determinare
l’insorgenza delle malattie sono comuni a tutti gli uomini, così come i
medesimi sono gli organi relativi alla somatizzazione di una specifica
problematica. I conflitti che la “Psicobiologia”
riconosce come fondamentali sono:
Separazione,
Territorio, Mancanza, Tradimento, Svalorizzazione.
Coerentemente
con la logica della Legge del Karma,
che fa si che vengano predisposti tutti i materiali adeguati ad
un’esistenza/incarnazione che ottemperi al suo compito, si formerà una “struttura” che caratterizzerà le nostre
modalità di “sopravvivenza”, la quale
verrà messa in opera in tutti i settori della vita e sarà in grado di
condizionarli in ogni istante. La conoscenza di questa stessa struttura è di
capitale importanza perché rappresenta la nostra chiave di evoluzione, di libertà
dalla “compulsione a ripetere”.
Le
soluzioni che vengono adottate sono comuni a tutta la specie poiché, come già
si diceva, il cervello non fa distinzione fra l’uno e la totalità, così come
non distingue la realtà dall’immaginazione, cesura tipica della parte
corticale: per esso un pensiero o un fatto “reale”
sono la medesima cosa!
Quello che
però ritengo un aspetto da sottolineare, che connette strettamente la malattia
al karma, è il “cambiamento”. Qual’è, infatti, l’effetto più evidente ed inevitabile
che l’essere “ammalati” comporta? Il
cambiamento dello stile di vita, sebbene a volte solo temporaneo, a seconda
della gravità dell’infermità, che viene imposto dalla malattia, è il momento
cruciale cui si va incontro e che va a connotare una nuova sembianza alla vita
di tutti i giorni. Basti pensare ai cardiopatici, ai diabetici, a chi soffre di
insufficienza renale e a mille altri esempi. Lì la storia individuale,
caratterizzata fino a quel momento da un determinato stile di vita, subisce
dapprima un arresto e, quindi, una successiva svolta: quella svolta ci imporrà
di confrontarci col nostro karma, al
fine di risolvere i debiti pregressi, contratti in vite precedenti. Il
cambiamento è dunque un’inversione di tendenza rispetto ad un atteggiamento
consolidato che non procedeva a favore della naturale tendenza e organizzazione
della nostra intera struttura vivente; abbiamo incontrato un serio ostacolo sul
nostro cammino che ci ha imposto una svolta poiché, da soli, non siamo stati in
grado di interpretare i segnali disseminati lungo il percorso, o forse soltanto
perché abbiamo seguito la via che ci appariva più “normale”, inconsapevoli della nostra vera natura e incapaci di
esprimere la più autentica creatività. Vediamo così che il mantenere lo stato
di salute dipende dall’insieme delle forze, dei sentimenti, dei processi
mentali, tutto ciò che, insomma, caratterizza i nostri corpi sottili e che
definisce la nostra vita e l’esperienza del corpo fisico, ma dipende anche
dall’influenza esercitata su quest’ultimo dalla condizione dell’umanità nel suo
complesso e il cui stato si riflette sul singolo, determinando molte delle
malattie attuali poiché, non lo si ripeterà mai abbastanza, singolo e umanità
rappresentano un tutt’uno inscindibile!
Si può
azzardare che tutte le malattie, nessuna esclusa, sono effetto della disarmonia
tra il lato forma e il lato vita. Ciò che viene generato dal loro debito
rapporto é l’anima umana, il nostro Sé, il principio integratore, inteso come
il “quarto” livello di sette. Quando
l’allineamento tra vita e forma non è equilibrato si annuncia la malattia, da
cui discende un’importante considerazione, che cioè spirito e materia non
possono rapportarsi secondo una relazione arbitraria, ma in base a una precisa
proporzione; è l’istinto di conservazione, del singolo e della specie, a
regolare tale proporzione, finché lo spirito tende a incarnarsi in un veicolo
di materia. E una delle tante cause di malattia è proprio l’incessante
conflitto fra lo spirito “imprigionato”
e la sua “prigione”, la forma; questa
lotta si esplica attraverso la qualità innata di preservare e perpetuare le
specie e le forme. Tutto questo viene ad essere regolato dalla Legge del Karma e le cause cui potremmo ascrivere
le malattie, così come la morte, non sono che conseguenze dei princìpi
fondamentali che governano, se bene o male non ci è dato sapere, la vita dello
spirito all’interno della forma. Dunque, la malattia è l’effetto
dell’inibizione della vita dell’anima, intesa come impossibilità pressoché
totale di relazione diretta, non mediata, tra il Manas e il veicolo fisico; tutti gli effetti prodotti da tale
fatto, da un punto di vista del karma,
sono da intendersi come “purificatori”.
Nella ricerca delle terapie, inoltre, l’uomo aggiungerà un altro importante
tassello alla complessità del “disegno”,
poiché manifesterà il lavoro della sua mente, rivolto al servizio per gli altri,
e le sue facoltà creative latenti nel procedere alla ricerca della libertà.
Oggi, però, questa ricerca è fortemente interdetta da tutta una serie di
atteggiamenti inopportuni: l’incapacità di scorgere, nel disagio, l’utilità del
dolore, la conseguente ribellione alla sofferenza, l’eccessivo insistere solo
sul lato forma dell’esistenza (prerogativa della mente razionale e
scientifica), l’atteggiamento nei confronti della morte, per cui si interpreta
come catastrofe la scomparsa della vita dalle percezioni sensoriali e il
disintegrarsi della forma. In tutto ciò possiamo individuare un aspetto del
conflitto, vale a dire la resistenza nell’uomo fra pensieri, emozioni,
somatizzazioni, da una parte e la legge eterna e immutabile cui è sottoposto,
dall’altra, indipendentemente dalla sua volontà.
Come già
ricordato, ciò che può condurci alla comprensione del percorso e alla realizzazione
del nostro Archetipo, nel senso della scoperta dei meccanismi inconsci e
automatici che condizionano il nostro comportamento, così come l’idea che
conseguentemente abbiamo di noi stessi, è l’attenta osservazione del tipo di disarmonia
che esprimiamo e, qualora si tratti di vera e propria patologia organica,
dell’organo colpito, con le sue peculiari modalità di manifestazione. E’ un
cammino a ritroso nel tempo che, attraverso la messa a nudo del tipo di
conflitto arcaico in cui siamo immersi, ci conduca alla consapevolezza dell’eredità
genetica della sequenza incompiuta di cui possiamo essere un anello fra i tanti
o, al contrario, l’elemento conclusivo e risolutore. L’attraversamento del
guado appena descritto è una via di grande difficoltà e, a volte, di enorme
sofferenza, ma una delle più efficaci per essere consapevolmente all’interno
del nostro karma personale. Siamo gli
attori principali delle rappresentazioni della nostra esistenza in vita, nonché
co-protagonisti di quelle che riguardano l’umanità nella sua interezza, le cui
predisposizioni ereditarie sono il retaggio, a volte triste, di ciascuno di
noi. Quando l’uomo afferra il significato della Legge, quando diviene certo
della sua ineffabile esattezza, allora inizia attivamente e consapevolmente a
partecipare alla sua propria evoluzione; esamina e svela il suo carattere, può
iniziare a trasformarlo praticando una consapevole attività mentale; può
amplificare le sue capacità eliminando le debolezze, perfezionando ciò che va
corretto ed eliminando gli eccessi. Sapendo che noi diveniamo ciò che pensiamo
inizieremo a perfezionare l’attività del pensiero e della concentrazione e, una
volta che saremo un tutt’uno con le Leggi di natura, allora saremo in grado,
liberamente, di non creare più karma.
Ognuno intraprende il viaggio
nell’incarnazione con un bagaglio fatto di predisposizioni, anche alle malattie,
che, oltre al fatto di arrivargli dal passato individuale, sono originate dal
retaggio collettivo del genere umano e dalle condizioni di vita su questo
pianeta, nel corso della presente catena evolutiva, in senso teosofico. Questo
rappresenta un inevitabile quanto complesso allargamento del karma del singolo, condiviso con tutta
la specie, così come con tutti i regni di vita sulla Terra.