La VITA UNA

Appunti sul tema

 A cura di: Antonio Girardi

La nascita della Società Teosofica nel 1875 si colloca in un momento storico in cui emerge anche a livello culturale un grande interesse per i temi dell’occultismo, dello spiritismo, dei poteri psichici.

La letteratura teosofica originaria (Lettere dei Mahatma, Blavatsky, Olcott, Sinnett, Judge e altri) affronta questi temi in modo profondo e complesso, perseguendo (si pensi ad Iside Svelata) un obiettivo di sintesi fra filosofia, religione e scienza, e dunque non disdegnando un approccio che oggi definiremo olistico, sistemico.

Il risultato è di tutto rilievo ed i temi fondamentali della ricerca umana vengono arricchiti con contributi:

- che recuperano tradizioni antiche orientali;

- che creano veri e propri ponti fra oriente ed occidente;

- che rinnovano il primato dell’universalità e dell’Unità della Vita rispetto alla dogmatica di parte.

Alcune ipotesi di lavoro fungono da stella polare e le parole chiave diventano:

- vita una

- evoluzione (con le sue leggi di conservazione, di entropia e di rinnovamento)

- karma

- reincarnazione

Alla luce di queste realtà, l’esistenza dell’essere umano finisce per inserirsi in un più vasto gioco cosmico, in cui lo spazio ed il tempo possono divenire mezzo per una più profonda comprensione della realtà.

La vita e la morte, così come percepite dai sensi, abbandonano la dimensione del tempo lineare e di un valore fine a se stesso per diventare momenti dialettici di un più vasto processo di espansione della coscienza, che coniuga l’elemento individuale con quello collettivo.

Parallelamente la letteratura teosofica originaria arriva a declinare in modo complesso e puntuale la realtà costitutiva dell’uomo e valga da sintesi lo schema seguente, inserito da Sinnett nel suo Buddhismo Esoterico1:

1. Il corpo Rupa

2. La vitalità Prana o Jiva

3. Il corpo astrale Liñgasarira

4. L’anima animale Kamarupa

5. L’anima umana Manas

6. L’anima spirituale Buddhi

7. Lo spirito tman

È proprio questa declinazione che ci permette di meglio comprendere la realtà della vita oltre la vita.

Se è vero, infatti, che le aggregazioni materiali alla fine dell’esistenza terrena tornano – per così dire - alla terra e se è altrettanto vero che le aggregazioni astro-mentali subiscono un periodo di purificazione in quello che la letteratura teosofica definisce kamaloka, è altresì esatto che in questo stadio si assiste ad un dissolvimento degli aspetti più “densi” del piano che contiene emozioni ed elaborazioni grossolane del piano mentale concreto e ad una conservazione o, meglio, una liberazione della parte autocosciente dell’uomo, parte che ha così la possibilità di “accompagnare” la monade sul piano del Devachan (la c.d. “dimora degli dei”).

Scrive Sinnett: “Per prima cosa, ciò che sopravvive in Devachan non è soltanto la monade individuale: questa monade sopravvive a tutti i cambiamenti dell’intero schema evolutivo e passa da corpo a corpo e da pianeta a pianeta, perché sopravvive in Devachan la personalità autocosciente dell’uomo, ma con qualche limitazione… La personalità che là sopravvive consiste soprattutto dei più alti sentimenti, emozioni e aspirazioni come anche dei gusti più elevati quali furono su questa terra: in una parola è l’essenza della precedente personalità autocosciente”2.

Ed il Col Olcott, nella sua appendice al Catechismo Buddhista, afferma, chiarendo ulteriormente il concetto: “Le successive apparizioni su uno o molti altri pianeti, o ‘discese in generazione’ delle parti (Skanda) coerenti con il desiderio di un certo essere, sono una successione di personalità. In ogni nascita la personalità differisce dalla precedente o dalla successiva. Il karma, il deus ex machina, si nasconde oggi nella personalità di un saggio, domani in quella di un artigiano e così di seguito per tutta la durata della catena delle nascite. Ma sebbene le personalità si muovano sempre, l’unica linea della vita lungo la quale esse si dispongono scorre ininterrotta.

È sempre quella linea particolare e mai un’altra. È dunque individuale, un’ondulazione individuale vitale che ha avuto inizio nel Nirvana o lato soggettivo della Natura, come le vibrazioni della luce o del calore che si producono attraverso l’etere e che hanno origine dalla loro sorgente dinamica. È questa vibrazione che attraversa da parte a parte il lato oggettivo della natura sotto l’impulso del karma e la direzione formatrice di Tanha3 che tende, attraverso numerosi cambiamenti ciclici, a ritornare al Nirvana”4.

Ma per meglio comprendere l’insieme del sistema che ci permette di cogliere l’essenza degli stati post mortem e delle successive reincarnazioni, non possiamo non tenere conto di quanto affermato da H.P. Blavatsky ne La Chiave della Teosofia relativamente alla definizione di “Sé Superiore”, di “Ego Spirituale”, di “Ego Superiore o Interiore” e di “Ego Inferiore o personale”.

Afferma H.P.B.: “Il SÉ SUPERIORE è: ATMA, il raggio inseparabile del SÉ UNICO Universale. È il Dio sopra di noi più che entro di noi; felice l’uomo che riesce a saturarne il suo Ego Interiore!

L’EGO SPIRITUALE Divino è: L’anima spirituale o Buddhi, in stretta unione con Manas, il principio mentale, senza cui non è per nulla un EGO, ma semplicemente il Veicolo Atmico.

L’EGO SUPERIORE O INTERIORE è: Manas, chiamato il quinto Principio indipendente da Buddhi. Il Principio della Mente è l’Ego Spirituale soltanto quando si è fuso e completamente unificato con Buddhi; nessun materialista, per quanto grandi possano essere le sue capacità intellettuali, può avere in sé un tale Ego. È questa l’Individualità permanente o ‘Ego reincarnantesi’.

L’EGO INFERIORE O PERSONALE è: l’uomo fisico congiuntamente al suo Sé inferiore e cioè: alle passioni, agli istinti e desideri animali.

Viene chiamata ‘la falsa personalità’ e consiste nel Manas inferiore in congiunzione con il Kama-Rupa e che agisce mediante il corpo fisico e il suo fantasma, il ‘Doppio’”.5

La letteratura teosofica originaria ci permette dunque un elevato grado di approfondimento sul tema della morte, del post mortem, della reincarnazione, della Vita Una nella sua complessità.

Ma questi temi non vanno affrontati soltanto dal punto di vista della conoscenza e del sapere.

Dovremmo chiederci contemporaneamente: “Che cosa rappresenta per noi la morte?”. E “Qual è il suo reale significato?”. Ed ancora: “Il valore della letteratura teosofica è nelle informazioni che trasmette o non è piuttosto nelle intuizioni che può far nascere?”.

Una conoscenza che ci giunge dall’esterno è utile, ma non è in grado di far lievitare la coscienza se da parte nostra non viene messo in moto un processo di “osservazione neutrale”, di visione e di ascolto basati più sul silenzio che sulla declinazione verbale.

Una sorta di meditazione che sia in grado di superare la dimensione spazio-temporale, con i suoi concetti di tempo lineare e circolare.

Come a dire che le porte dell’Eterno e della vera comprensione della Vita sono nel qui ed ora, quando la barriera fra l’oggetto ed il soggetto viene infranta e l’essere umano si apre alla dimensione dell’amore e della compassione.

Risuonano le parole di Jiddu Krishnamurti: “Se il pensiero arriva a liberarsi del passato, non è più il pensiero. È cosa del tutto vana speculare intellettualmente su ciò che può esistere al di là della mente.

Perché questo fatto possa accadere, è necessario che il pensiero, cioè l’io, cessi del tutto. La mente deve essere libera da ogni movimento, deve essere immobile, ma senza che vi sia una ragione per questa immobilità. La mente non può ricercarla. La mente può suddividere il proprio campo di attività e lo suddivide infatti in termini di nobile e ignobile, di desiderabile e di indesiderabile, di elevato o di inferiore, ma queste divisioni e suddivisioni sono sempre contenute nei limiti stessi della mente in modo che tutti i movimenti della mente stessa, in qualsivoglia direzione, non sono altro che una reazione del passato, dell’io, del tempo. È questa sola verità che rappresenta un fattore di liberazione e chi non è in grado di percepirla, qualsiasi cosa possa fare, resterà sempre incatenato. Tutte le sue penitenze, i suoi desideri, la sua disciplina ed i suoi sacrifici possono avere un contenuto sociologico e di conforto, ma nulla di tutto questo ha il minimo valore in rapporto alla verità”.

Note:

1) A.P. SINNETT, Buddhismo Esoterico Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 2007 pag. 33;

2) Idem Ibidem pag 68;

3) TANHA: il termine, che letteralmente vuol dire sete, nei testi buddhisti esprime sovente l’idea del desiderio autocentrato;

4) H.S. OLCOTT, Catechismo Buddhista – Appendice;

5) H.P. BLAVATSKY, La Chiave della Teosofia Editrice Libraria Sirio, Trieste 1966 pag. 156;

6) J. KRISHNAMURTI, Commentaires sur la vie (Tome 2) Editions Buchet/Chastel, Paris 1973 pag. 310-311. Traduzione dell’autore.

 Antonio Girardi è il Segretario Generale della Società Teosofica Italiana.

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