Sufismo e Sufiti

I Mistici dell'Islam

Questi uomini "ebbri di Dio", ora perseguitati, ora esaltati furono sempre considerati con sospetto dai musulmani ortodossi, ma il loro influsso è ancora oggi avvertibile.

I Sufiti sono, nell'Islam, coloro che, vestiti di lana (Suf in arabo) per accentuare il loro distacco dal mondo, hanno intrapreso la via del misticismo per potersi unire con Dio.

Il loro nome evocava anche probabilmente la purezza (in arabo: Safa) e fors'anche la sapienza greca (Sofia). Questo movimento (in arabo: Tasawwuf) era già nato nel primo secolo dell'ègira (settimo secolo) come reazione contro l'Islam ufficiale, quello degli Ommiadi, installati a Damasco e più preoccupati delle conquiste e dell'acqisizione dei beni materiali che della vita religiosa.

Il sufismo si è presentato come un ritorno alla purezza primitiva, alla vita interiore dei credenti e si fondava su un'interpretazione tutta spirituale e anche esoterica del Corano. Ebbe ben presto I suoi maestri.

Il primo fu al-Basrì (642-728), eminente teologo rinomato per la pietà e la vita ascetica, che ebbe il coraggio di disapprovare l'ascesa al califfato di Yazìd, dissoluto e dedito alla crapula, indegno successore del padre Mu'awija, il fondatore della dinastia.

Questa opposizione religiosa, portò al rovesciamento degli Ommiadi da parte degli Abbassidi (750), I quali fondarono una nuova capitale a Bagdad, che divenne un brillante centro di cultura, con vive discussioni tra cristiani e musulmani, mentre si traducevano le opere dei filosofi greci, in particolare dei neo-platonici, che influirono sulla nuova metafisica.

Benchè fossero fedeli alla Legge dell'Islam, rispettandone le prescrizioni, i sufiti consideravano secondarie le manifestazioni pubbliche del culto e davano una priorità assoluta all'esperienza personale della Presenza divina, di cui la creazione e lo stesso uomo non sono che delle emanazioni. Era un'esperienza che diveniva concreta grazie alla meditazione, ridotta molto spesso alla ripetizione incessante del Nome di Dio, durante la quale l'anima "si ricorda" del suo Creatore e si unisce a Lui.

Il movimento ascetico che aveva conquistato il mondo musulmano si trasformò allora in un'autentica Teosofia: uno dei primi rappresentanti fu al-Muha-sìbi ("Colui che esamina la sua coscienza"), che predicava la rinuncia al proprio io e che visse a Bagdad (781-837). Suoi contemporanei furono l'egiziano Dhu'l-Nun (morto nell'861) e il persiano Abù Yazid (morto nell'875), il primo dei sufiti "ebbri" (di Dio).

A Bagdad vissero anche al-Junayd (morto nel 910), per il quale il sufismo è 'Fana' ("morte a se stesso") e, infine, il più venerato dei maestri al-Hallaj, che vi morì martire nel 922.

Fino ad allora I sufiti avevano subito la persecuzione degli ortodossi legalisti, che aveva raggiunto l'apogeo con lo scandalo causato dalle esecuzioni di al-Hallaj. Il tempo era ormai maturo perchè si riabilitassero questi maestri che erano stati tra i musulmani i più nobili e ferventi.

A questo compito si accinsero nei secoli XI-XII i primi teorici del sufismo, quali al-Junayd e al-Qusciairi; autore della celebre epistola ai sufiti (Risala, 1046). Se la Sciari'a, la Legge religiosa, costituiva la via più larga, aperta a tutti, la Tarqa era la via stretta e malagevole, destinata a coloro che desideravano attuare in se stessi l'uomo perfettamente compiuto (Insan kamil), unito con Dio e ritornare nello "stato nel quale essi erano prima di essere".

Nei secoli XII e XIII, i più eminenti pensatori musulmani si schierarono con il sufismo, che riuscirono ad arricchire con solide basi dottrinali.

Al-Ghazan (1058-1111) riconcigliò sufismo ed ortodossia. Scihabbodin Yahya Sohrawardi (1155-1191) reintegrò nella mistica musulmana, l'eredità dell'antica persia; il grande filosofo gnostico Ibn'Arabi (1165-1240) affermò l'unicità assoluta dell'Essere, e il suo continuatore, al-Gili (1366-1428) espose in un opera famosa, Dell'uomo universale (Al-Insan al-Kamil) la teoria secondo la quale "l'uomo nella sua essenza è il Pensiero cosmico che si incarna e collega l'Essere assoluto al mondo della natura".

Le confraternite religiose

Nei secoli XII e XIII, si costituirono anche le principali confraternite religiose sufite (Tariqa), nelle quali un maestro, che derivava la sua autorità spirituale da una regolare successione di maestri, guidava i progressi dei suoi discepoli lungo la "Via", grazie a metodi elaborati con cura.

Le più importanti furono: la Sohrawardiya, dal nome del suo fondatore, Scihab ad-Din al-Sohrawardi (1144-1234) alla quale appartenne l'illustre poeta persiano Saadi di Sciraz (1208-1294); la Sciadhiliya, fondata da al-Sciadhil (1196-1258), originario del Maghreb - la più diffusa nell'Africa settentrionale - che contò tra i suoi membri anche Ibn 'Arabi; la Kubrawia, che prende il nome da Najm ad-Din Kubra (1145-1221) e che ebbe a discepolo il padre di Gialal ad-Din Rumi, Baha ad-Din Walad; la Naqsciabandiya, che debuttò con al-Hamadani (morto nel 1140) e alla quale aderì il poeta mistico persiano Giami. Ma una delle più celebri, e quella più longeva, è la Tarqa Mawlawiya dei dervisci giranti, fondata da Rumì.

Poesia e Sufismo

La poesia ha avuto una parte di primo piano nella vita del sufismo. Già gli antichi maestri citavano delle poesie erotiche o celebravano la vita e il vino, dando loro un significato spirituale. In seguito queste allegorie furono utilizzate dai poeti mistici arabi e, soprattutto, persiani.

La poesia della Persia classica, sia didattica, che lirica o romanzesca, è per gran parte ispirata al sufismo, al quale appartennero I suoi più illustri rappresentanti, come: Sana'i (1080-1140), 'Attar (v.il 1120. 1190), Nizami (1141-1209), lo stesso Rumì (1207-1273) e Giami di Herat (1414-1492), l'ultimo grande poeta mistico della letteratura persiana.

(Da: I Maestri spirituali di Jacques Brosse, Gremese Editore, Roma 1991)

Letture consigliate:

L'uomo di Luce nel Sufismo iraniano, di Henri Corbin, ed. Mediterranee,

Sufismo ed Esicasmo, di Michel Vàlsan, ed. Mediterranee.

 

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