TEOSOFIA E SCIENZA

Di: Richard W. Brooks

     Il numero di Marzo ’99 della Rivista “Teosofia in Nuova Zelanda” contiene un articolo molto interessante su “Teosofia, Scienza e Scienze Esoteriche”, scritto da Tong Wong.

     Giustamente egli evidenzia come molti teosofi, che entusiasticamente citano vari scienziati contemporanei, dimenticano di riferire che Helena Petrovna Blavatsky ci sollecitava a “non avere nulla a che fare” con le scienze puramente materialistiche, le quali “respingono qualsiasi cosa abbia a che fare con le ricerche entro i misteri dell’essere”.

     Le attuali cosmologie, per esempio, basate sulla “ipotesi del big bang” sono prettamente materialistiche, di conseguenza dovrebbero avere per i teosofi molto meno interesse di quanto invece sembrino avere.

     Personalmente sono stato sempre un po’ scettico sul fatto che la moderna “Teoria dei Quanti”, per esempio, realmente supporti il punto di vista teosofico, come alcuni teosofi sostengono.

     Wong, poi, riporta il parere del premio Nobel, Sir Peter Medawar, il quale ipotizza che gli scienziati non abbiano realmente alcuna opinione su ciò che esattamente sia il metodo scientifico.

     Ovviamente, sia Helena Petrovna Blavatsky che gli Adepti suoi Maestri sentivano che era possibile fare ricerche scientifiche sugli stati non fisici dell’essere.

     Molte cose, poi, stanno a indicare che avessero, in modo implicito se non esplicito, qualche idea su ciò che fosse un metodo scientifico di ricerca.

     Inoltre, teosofi più recenti come I.K. Taimni, egli stesso scienziato, hanno individuato che lo yoga incorporava un metodo scientifico; proprio per questo egli ha intitolato la sua traduzione e commento ai “Sutra Yoga” di Patanjali La Scienza dello Yoga”.

     Credo che tutto ciò diventi comprensibile quando si esplori quello che molti scienziati e filosofi della scienza hanno identificato come caratteristiche essenziali del metodo scientifico, anche se a me sembra che questi scienziati e filosofi della scienza non abbiano tracciato tutte le possibili interferenze che sorgono dalle loro analisi.

     Innanzitutto bisogna riconoscere che non tutte le indagini scientifiche usano esattamente le stesse metodologie.

     E’ normale, sebbene poco appropriato, guardare alla fisica come a una scienza archetipica, dal momento che essa, come lo stesso nome chiaramente lascia intendere, va a investigare il mondo fisico; la sua metodologia, però, non è necessariamente adeguata quando si va a investigare i fenomeni biologici, psicologici, sociali e umani.

     Questa differenza nei metodi viene adottata in modo chiaro, ad esempio, dagli antropologi, sebbene spesso sia trascurata dai biochimici e dagli psicologi del comportamento.

     In fisica si possono controllare le variabili di un esperimento con più facilità di quella che vi è quando si ha a che fare con i sistemi viventi, soprattutto quelli complessi della psicologia, come sempre accade quando si lavora sugli esseri umani.

     Ciò nonostante, dalla generalizzazione della metodologia della fisica si possono talvolta identificare alcune caratteristiche comuni a tutte le indagini scientifiche.

     La cosa più importante in tutte le esplorazioni scientifiche, però, è l’obiettività.

     Anche se gli scienziati, come tutti gli esseri umani, sono talvolta accecati da personali pregiudizi, il loro metodo dovrebbe sempre eliminarli.

     Accade che in qualche caso il pregiudizio provochi una percezione errata di fatti e che ciò permanga per decenni, come quella di aver chiamato alcune creature preistoriche “dinosauri” (letteralmente “terribili lucertole”) e poi tracciando deduzioni non corrette come hanno fatto i primi paleontologi nel dire che tutti i dinosauri strisciassero sul terreno, sul ventre, come le attuali lucertole, mentre invece alcuni camminavano eretti sulle zampe posteriori (come il noto Tirannosauro Rex o il Deinonicus dai piedi veloci) o su quattro piedi (come lo Stegosauro o il Triceratopo).

     Questo criterio di obiettività viene usualmente formulato come verificabilità intersoggettiva, ovvero, in altre parole, ciò che uno scienziato ha osservato dev’essere tale da generare simile osservazione da parte di un altro scienziato.

     La scienza viene praticata in pubblico.  Essa dev’essere oggettiva e non soggettiva.  Si possono pubblicare i propri risultati solo quando essi possono essere valutati in modo critico da altri.

     Ed è questo criterio che, alla fine, va a correggere le non valide deduzioni sui dinosauri.

     Ma, in modo particolare, è proprio questo criterio che ha condotto gli scienziati a rifiutare le pretese dei chiaroveggenti, degli yogi, ecc., come irrilevanti ai fini della ricerca scientifica perché, secondo la scienza contemporanea, esse sono del tutto soggettive e quindi non verificabili.

     Per questo motivo la maggior parte degli scienziati è ostile nei confronti dei parapsicologi, delle discipline Yoga e della Teosofia, anche se esistono rilevanti eccezioni, ovviamente.

     Ed è proprio questa interpretazione del metodo scientifico che mi piacerebbe sfidare.

     Ma prima di fare ciò, mi si permetta di citare alcune altre caratteristiche del metodo scientifico.

     Collegato alla verificabilità intersoggettiva è il requisito che tutte le affermazioni relative al mondo siano provabili, ovvero si debbono indicare i metodi per distinguere ciò che è favorevole e ciò che è contro quello che si afferma.

     Come dice il filosofo e psicologo americano William James: “Una differenza, per essere tale, deve fare la differenza”.

     Se non si specifica quanto può essere a sfavore di una certa affermazione, allora l’affermazione non è empirica (non è basata su esperimento o su osservazione), essa non è relativa al mondo.

     Questo criterio è proprio quello che utilizzano gli scienziati per deridere le verità religiose che sono basate esclusivamente sulla “fede”.

     Ma che cosa vale come prova?

     Su questo termine esiste una considerevole differenza di opinioni fra gli scienziati materialisti e quelli che si possono chiamare scienziati esoterici.

     Per i primi la prova è un qualche tipo di esperimento di laboratorio o un campo di osservazione designato per provare o negare un’ipotesi specificata in precedenza; dopo il fatto, o post hoc, le affermazioni vengono respinte.

     Nella scienza esoterica, più o meno la stessa cosa è vera quando si tratta di capire le forze più sottili della natura, ma la prova non deriva da un qualche tipo di esperimento di laboratorio, piuttosto da una “personale esperienza e dalla osservazione effettiva”, come il Maestro K.H. scrisse in una delle sue lettere ad A.O. Hume.  (2)

     Anche la ripetibilità è correlata con la verificabilità intersoggettiva.  Gli esperimenti debbono essere ripetibili.  Ciò che uno scienziato scopre in un laboratorio di Oakland in California, deve poter essere ripetuto ad Auckland in Nuova Zelanda.

     Questo requisito viene talvolta chiamato “ripetibilità su richiesta” e viene usato per mettere in ridicolo la ricerca psichica, poiché la maggior parte delle sue scoperte non appartiene alla categoria della ripetibilità.

     Ma in realtà questo è un requisito che non fornisce alcuna garanzia quando si conducono esperimenti sui sistemi viventi, i quali non permettono repliche capaci di dare gli stessi risultati, oppure quando si opera in aree della psicologia umana come quella creativa o degli esperimenti psichici dove ci si rende conto che non ha alcun senso attendersi che essi possano essere sempre e ovunque ricreati su richiesta.

     Inoltre, quando si eseguono indagini sui sistemi sociali, la ripetibilità è spesso fuori luogo, sebbene l’obiettività e la verificabilità intersoggettiva siano ancora possibili.

     Un altro importante criterio del metodo scientifico collegato all’obiettività è la quantificabilità.

     Se i risultati non possono essere espressi in termini numerici, potrebbe non risultare chiaro se ciascun esperimento effettivamente replica esattamente un altro.

     E’ ovvio che esistono diversi tipi e scale di misura.

     Il tipo più semplice è il conteggio uno per uno (ad esempio quelli che dicono che stanno andando a votare per un partito o un altro), oppure i singoli eventi per poi sommare i risultati e fornire indicazioni statistiche.

     Un altro tipo è rappresentato da una scala comparativa, come quella della durezza di Moh che si basa sul fatto che una sostanza riesca a scalfirne un’altra oppure no, o la scala dei terremoti di Richter; scale simili sono transitive (si può affermare che un terremoto di entità 5 sia più potente di un terremoto di entità 4, ma non sono aggiuntive.

     L’ideale è una scala in cui, sommando una per una le singole misure, si ottiene un risultato totale corretto (ad esempio, una distanza di 20 chilometri dalla città A alla città B più la distanza di 30 chilometri fra la città B e la città C ci dice che la distanza fra la città A e la città C è di 50 chilometri).

     Ma osservazioni puramente soggettive (ad esempio la descrizione dell’aura umana) si dice non appartengano ad alcuno dei tre tipi di quantificazione sopra citati e quindi non possono essere considerate scientifiche.

     Però, nuovamente, non è ragionevole assumere ciò come criterio essenziale.

     Le osservazioni antropologiche sono spesso non quantificabili, come anche le intuizioni oggettive sulle società umane.

     La cosa più importante per i risultati scientifici è la loro generalizzabilità.

     Le leggi della natura, (ad esempio la gravità o la velocità della luce) scoperte per essere applicate ai fenomeni terrestri, possono essere applicate anche su dimensione galattica e intergalattica.

     Diamo per scontato che viviamo in un cosmo (un mondo di cose che si ripetono con regolarità, governate da leggi, non un caos e nemmeno un mondo suscettibile di interventi miracolosi) e un universo (non una “pluralità di universi”, nei quali le leggi della natura possano cambiare da una galassia a un’altra).

     Mentre tutto ciò non può essere provato, il fatto che gli scienziati possano capire il comportamento di un fenomeno stellare fornisce un solido supporto a questo assunto.

     E questo è sostenuto anche dai Teosofi.

Se le generalizzazioni sociali e psicologiche sugli esseri umani si applicano agli esseri intelligenti di altri mondi, ovviamente non sappiamo e non sapremo mai cosa accade.

Da un punto di vista pratico, poi, non abbiamo alcun motivo per preoccuparci di tali cose.

Ma ciò che affermiamo sugli esseri umani in una parte della terra deve per lo meno potersi applicare agli esseri umani che vivono in altre parti, tenendo conto di tutti i cambiamenti di comportamento che possono derivare dalla comunicazione, dalla industrializzazione, ecc.

Collegato al requisito di generalizzabilità è il concetto di prevedibilità.

Quella che viene definita una “legge” di natura che spiega solo uno specifico evento e non è in grado di prevedere ciò che accade quando l’evento si verifica di nuovo, non è per nulla una legge di natura.

Le leggi di natura ci aiutano a predire il futuro e anche a controllare gli eventi a venire.

Ad esempio, tracciando deduzioni riguardo alla natura dell’atomo, uno scienziato è in grado di predire l’esistenza dell’antimateria che, pur sembrando in quel momento controintuitiva, porta alla fine alla scoperta del positrone.

La scienza è una sequenza di continue scoperte.

Una affermazione che non ha alcuna implicazione nelle future ricerche ha poco o nessuno interesse scientifico.

Questa considerazione, a sua volta, porta a ciò che il filosofo americano Willard Van Orman Quine chiama: “La trama della Natura”.

Gli scienziati presumono che la natura sia un sistema coerente e che le sue leggi siano tutte intercorrelate fra di loro.

Infatti, l’idea di una “prova cruciale” di una teoria è, in realtà, una dizione errata dal momento che prove simili prendono per buone verità provenienti da altre teorie e leggi necessarie per condurre le cosiddette “prove cruciali”.

Per di più, il metodo scientifico dà per scontato che le leggi della natura si accordino l’una all’altra.

Se qualcuno riuscisse a dimostrare una contraddizione fra una legge o teoria e un’altra ciò vorrebbe dire che per lo meno una di esse è sbagliata.

L’obiettività riguardante le osservazioni che si possono fare, la verificabilità intersoggettiva, la ripetibilità, la possibilità di generalizzazione, la prevedibilità, la consistenza e la coerenza sono tutti aspetti del metodo scientifico che sono accettati dai Teosofi.

Semmai, è la nostra interpretazione del termine “intersoggettivo” che è diversa da quella che dà la maggior parte degli scienziati moderni.

Questi, che si proclamano rigorosamente empirici, sostengono che l’empirismo si applica solo ai sensi e alla loro estensione nei vari dispositivi meccanici (termometri, spettrometri, microscopi elettronici, contatori geiger, ecc.).

Ma dove sono collocati questi sensi?

Nel corpo fisico, ovviamente.  Ed essi funzionano solo nel normale stato di veglia.

In altre parole, l’empirismo contemporaneo non fa altro che porre la questione del materialismo.

Nessuna meraviglia se la loro esplorazione è limitata al mondo fisico!  Se la metodologia impiegata dai fisici costituisce l’archetipo del metodo scientifico!

Cosa vuol dire esattamente “soggettivo”?

Se viene definito in termini di stato di veglia fisica della coscienza, esso pone degli interrogativi.

Esiste una qualche ragione connaturale perché i metodi della scienza non possano essere usati in quelli che talvolta vengono chiamati “stati alterati di coscienza”?  Potrebbero essi non essere intersoggettivi?

Se due chiaroveggenti affermano di osservare lo stesso fenomeno e lo descrivono allo stesso modo, perché questo non può essere considerato come una “verificabilità intersoggettiva”?

Solo per il fatto che la maggior parte degli scienziati non sono chiaroveggenti e non sono in grado di prender parte a questo tipo di intersoggettività, non sembra giusto rifiutare questo tipo di verifica fra due soggetti.

La maggior parte delle persone che non hanno confidenza con la scienza, osservando un esperimento scientifico, non sono in grado di rilevare ciò che lo scienziato sta facendo, semplicemente perché  non hanno alcuna idea sul modo di interpretare ciò che stanno vedendo e spesso non sanno nemmeno come guardare l’esperimento stesso.

Ne consegue che la stessa verificabilità intersoggettiva ha determinate limitazioni perfino nella scienza “normale”.

E’ chiaro che molti stati alterati di coscienza non sono suscettibili della richiesta obiettività (ipnosi, sogno, allucinazioni indotte da droghe, per esempio).

Ma ciò non vuol dire che nessuno di essi lo sia.

Fra gli stati idonei a essere assoggettati a un’osservazione oggettiva possiamo citare il sogno lucido, la meditazione Yoga, Vipassana o Zen, la chiaroveggenza.

Molti di quelli che si autodefiniscono medium apparentemente sembrano non interessati all’osservazione oggettiva.

Altri invece lo sono: Patanjiali, i Mahatma, Annie Besant, Charles Webster Leadbeater, Geoffrey Hodson, Phoebe Bendit, Helena Petrovna Blavatsky, Dora Kunz.

Perché gli stati alterati di coscienza non possono essere indagati da altre persone nell’appropriato alterato stato di coscienza?

Non esiste alcuna ovvia ragione per cui ciò non si possa fare.

E, se questo è possibile, allora si può fare della scienza in questi stati alterati di coscienza.

E a me pare che ciò sia esattamente quello che si suole chiamare scienza esoterica.

Quanto è stato detto non vuol dire che dobbiamo accettare in modo acritico tutte le osservazioni che provengono da queste persone.

Nei loro confronti abbiamo il dovere di prendere lo stesso atteggiamento che gli scienziati assumono davanti ai loro colleghi.

Annie Besant ammonisce noi tutti a fare ciò nel suo libro: “Lo studente di Teosofia di fronte alla Rivelazione, Ispirazione e Osservazione”, ristampato con il titolo: “Il Mondo che cambia”.

Nel fare ciò partecipiamo alla ricerca scientifica come scienziati esoterici.

Forse un giorno gli scienziati ortodossi riconosceranno la validità di questo tipo di scienza.

Ma oggi, quanto meno, i Teosofi possono fare queste cose senza imbarazzo e senza doversi scusare.

NOTE:

(1)           H.P. BLAVATSKY, “The Secret Doctrine”, I, 589, II, 314, Adyar Edizioni;

(2)           “MAHATMA LETTERS”, N. 11, p. 64, Chion Edizioni, n. 65, pag. 168.

 

Il Dottor Richard Brooks è Professore di Filosofia in pensione ed è da lungo tempo membro della Sezione Teosofica Americana.  Recentemente ha tenuto una serie di conferenze in Nuova Zelanda.

    Traduzione di Michele Zappalà

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