Rapporto tra Cosmogenesi e Antropogenesi
di: Franco Di Lodovico
Introduzione
A
oltre un secolo dalla sua stesura,
Da
questo punto di vista, si deve riconoscere che
Questo
nostro studio rappresenta uno sviluppo, seppur minimo, nella direzione appena
tracciata, anche se qui vengono presentati solo i tratti essenziali di un tema
che richiederebbe spazi e approfondimenti ben superiori.
La Terra
Normalmente,
quando si parla di cosmogenesi ci si
riferisce ad un fatto. Un fatto, certo non del tutto simile a quanto accade di
norma nella nostra esperienza quotidiana: miracoloso, se si vuole, tanto da
richiedere un creatore su una scala infinitamente più grande della nostra;
infinito nella sua portata, tanto da includere in sé tutto il nostro orizzonte;
ma pur sempre un fatto. Un fatto, ancora, accaduto in tempi veramente remoti: in principio. È naturale, quindi, che la
stragrande maggioranza dei resoconti della nascita dell’universo – mitologie,
testi sacri o altro – sia scritta sotto forma di racconto. Qualsiasi sia la
latitudine, si parte sempre da uno spazio vuoto, informe – l’Abisso, il Caos, eccetera – in cui vengono creati e disposti con ordine gli
elementi in modo tale da trasformare quello spazio iniziale nel Cosmo quale noi ora lo conosciamo.
All’interno di questo movimento creativo, poi, il racconto si focalizza
sull’apparizione dell’uomo sulla Terra, l’antropogenesi,
per descrivere successivamente le fasi del suo sviluppo e le vicende che lo
hanno portato al punto in cui ora è.
Dal
punto di vista del racconto, la cosmogenesi precede, come premessa logica, l’antropogenesi, costituendone quasi il
presupposto indispensabile. Va osservato, inoltre, che lo spazio letterario
occupato dalla cosmogenesi è di molto inferiore a quello necessario al racconto
delle vicende umane. Se consideriamo il testo sacro per eccellenza in
Occidente,
Come
è noto, secondo
Questo
punto di vista sembrerebbe contribuire ad aumentare quella lontananza a cui prima abbiamo fatto riferimento. Tuttavia, si deve
notare che modificando le categorie spazio-temporali o, perlomeno, variandone
la scala, la vicinanza o la lontananza vanno misurate, sempre che lo possano
essere, in tutt’altro modo.
Quanto
viene descritto nelle varie mitologie, orientali o occidentali che siano, e nei
testi sacri delle differenti tradizioni religiose, non deve perciò essere
considerato una rappresentazione, anche allegorica, della creazione
cosmologica. A tale riguardo, H.P.Blavatsky, riferendosi alla Genesi, scrive:
“I
capitoli d’introduzione della Genesi,
non ebbero mai lo scopo di dare una remota allegoria della creazione della
nostra Terra. Essi abbracciano una concezione
metafisica di un periodo indefinito
dell’eternità, quando la legge dell’evoluzione fece diversi tentativi per formare gli Universi”.[3]
I
vari racconti creazionisti non hanno lo scopo di trasmettere una
rappresentazione della nascita degli Universi così come, analogicamente,
avverrebbe a partire dallo stato di coscienza dell’essere umano. Il tempo della
cosmologia è indefinito all’interno
dell’eternità, e la concezione implicita in questi racconti è metafisica, nel senso più pieno del termine.[4]
Nel
Proemio, H.P.Blavatsky, riferendosi
alle Stanze di Dzyan, precisa:
“La storia dell’evoluzione
cosmica tracciata nelle Stanze di Dzyan
è la formula algebrica astratta di
quell’evoluzione. Perciò lo studioso non deve aspettarsi di trovare un
resoconto di tutti gli stadi e di tutte le trasformazioni sopravvenute fra i
primi inizi dell’evoluzione universale ed il nostro stato attuale. Farlo
sarebbe impossibile ed incomprensibile per il momento, data la sua coscienza
limitata.
Le Stanze,
danno una formula astratta che può essere
applicata a tutta l’evoluzione: a quella della nostra Terra, tenendo conto
delle ovvie differenze, all’evoluzione della catena di pianeti di cui la nostra
Terra fa parte, all’Universo solare al quale quella catena appartiene e così
via in scala ascendente.
Le sette Stanze
esposte in questo volume rappresentano i
sette termini di questa formula astratta. Essi descrivono i sette grandi
stadi del processo evolutivo che i Purana
definiscono come le “sette creazioni” e
La
cosmogenesi non è una storia raccontata, ma la parafrasi di una “formula algebrica astratta […] che può essere applicata a tutta
l’evoluzione”. Una formulazione matematica
per creare, che può essere applicata a qualsiasi dimensione, da “quella
della nostra Terra”, a quella della “catena di pianeti cui la nostra Terra fa
parte”, alla dimensione alla quale appartiene “l’Universo solare”, e così via.
Benché
il significato che H.P.Blavatsky attribuisce al termine “algebra” o “matematica”
sia diverso in alcuni aspetti da quello comunemente adoperato, molti tratti
rimangono identici. La matematica, insieme alla geometria e alla filosofia,
perlomeno nella gran parte delle sue suddivisioni, fa parte di quelle
discipline dette teoretiche contrariamente
ad altre classificate come empiriche
fra le quali troviamo, per esempio, la fisica, la chimica, la biologia,
eccetera. La differenza consiste nel fatto che nelle seconde la conoscenza
viene acquisita facendo un costante riferimento al mondo empirico e fenomenico
senza il quale, peraltro, non avrebbero ragione di esistere. Ciò non toglie che
non vi sia un ambito teorico nelle discipline empiriche, ma tale ambito è sempre riferito al mondo fisico, alle
cose di cui quella particolare scienza tratta, e manca solo di una conferma o
verifica sperimentale. Al contrario, le discipline teoretiche non fanno in alcun modo riferimento all’ambito empirico,
ai fenomeni e ai fatti del mondo fisico, ma operano interamente al di fuori di
tale ambito senza alcuna necessità di verifiche e conferme sperimentali: la
verità di una formulazione matematica, che non possiede variabili che denotano
entità riscontrabili nel mondo, non dipende da ciò che nel mondo accade, ma
dalla forma e dalla sua dimostrazione in base alle regole e alle definizioni di
un determinato sistema formale.[6]
Nonostante
questo suo distacco dal “mondo”, la matematica viene applicata costantemente
alla descrizione dei processi che avvengono nel mondo fisico e nella formulazione
delle sue leggi, su scala sia microscopica sia macroscopica. Anzi, senza
l’applicazione della matematica sarebbe quasi impossibile dare una descrizione
rigorosa e verace della natura: si pensi, per esempio, alla meccanica
quantistica dove solo le descrizioni matematiche permettono una corretta
interpretazione dei fenomeni e delle entità in quel mondo tanto lontano dai sensi.[7]
Inoltre, fatto ancora più interessante, esistono equazioni che si applicano
perfettamente alla risoluzione di problemi della fisica, per esempio le
equazioni per lo scioglimento dei nodi, benché siano state scoperte lavorando
solo all’interno del sistema formale, ovvero senza ricercare una possibile applicazione
del risultato ad un particolare fenomeno.
Le
scienze matematiche, nonostante ad un primo e superficiale sguardo manifestino
una radicale assenza di contatto diretto con il mondo fisico, sono intimamente
connesse con la realtà e la struttura del mondo, come appare
evidente ad un’osservazione più profonda.
La
formula algebrica di cui parla
H.P.B., allora, è qualcosa di molto più concreto di quanto non possa apparire
in un primo momento. Questa formula è astratta
nel senso che non fa riferimento ad un determinato fatto, ma descrive metafisicamente tutti i possibili fatti.
È quel Cosmo (ordine) privo di forma che solo dopo, quando viene rivestito dai
sette stati di materia (le vestimenta),
può divenire quello che noi ora
conosciamo.
La
cosmogenesi, da questa prospettiva, assume tutto un altro significato. Essa è
certamente la creazione del Cosmo, dell’universo, delle galassie, sistemi
solari, pianeti… di tutti quegli elementi che costituiscono la base, il
fondamento della genealogia umana. Essa è sì, in definitiva, la creazione della
Terra, ma non di quella terra che noi
siamo abituati a vedere: quella la creiamo
noi attraverso le percezioni sensoriali. Ma quella Terra invisibile, senza
forma, che costituisce il fondamento
metafisico di tutta la nostra esistenza: qualcosa che ci sostiene metafisicamente (una ipostasi), strettamente intrecciata
nella nostra interiorità.
“Noi viviamo e siamo nella cosmogenesi, ma evolviamo nelle forme dell’antropogenesi”.
I due volte
sette e le Gerarchie
Una divisione troppo netta tra Cosmogenesi e
Antropogenesi non trova riscontro in nessun testo sacro o racconto mitico. Per
quanto riguarda sia le Stanze di Dzyan
sia la Genesi,[8]
si può osservare che l’uomo, o l’umanità, compare sia in quelle parti dette cosmologiche
sia, ovviamente, in quelle antropologiche. Nella Genesi, per esempio, è scritto:
“E
Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra
immagine, a nostra somiglianza, e
domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, su tutte le bestie selvatiche
e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.[9]
E, di seguito:
“Dio Creò l’uomo a sua
immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.”[10]
Quando
Dio crea l’uomo a loro immagine e
somiglianza siamo ancora nel sesto giorno della creazione, ovvero nella
cosmogenesi: il primo capitolo della Genesi.[11]
Il
lavoro riprende dopo il riposo di Dio nel settimo giorno, quello in cui si dice
che Dio portò a termine la creazione. Il secondo capitolo si apre proprio con
la creazione dell’uomo, la seconda:
“Allora
il Signore Dio plasmò l’uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne
un essere vivente”.[12]
Non
c’è dunque una sola creazione che concerne l’uomo, ma due: la creazione di un
uomo macrocosmico e quella di un uomo microcosmico.
La
medesima cosa la ritroviamo nella Dottrina
Segreta dove H.P.B. non parla mai della creazione, ma di due gruppi distinti di sette creazioni:
Un
fatto che va notato nei passi citati in precedenza dalla Genesi, è che il protagonista del primo capitolo è diverso da
quello del secondo. Il “Dio” che crea l’uomo a loro immagine, non coincide con il “Signore Dio”, o “Signore
Iddio”, che plasma l’uomo con la terra e che soffia l’alito di vita nelle sue
narici. Inoltre, la parola “Dio” e “Signore Dio” derivano dalle traduzioni dal
greco, mentre l’originale ebraico parla di “Elohim”
e “JHVH Elohim”.[14]
Il termine “Elohim” indica una pluralità, come a dire “gli Dei” e “JHVH Elohim”
indicherebbe, allora, un particolare aspetto di quella pluralità.
Un ulteriore elemento da prendere in considerazione è che in realtà non viene creato un essere umano singolo, e nemmeno una singola coppia di esseri umani – maschio e femmina li creò – ma sette gruppi distinti di uomini che vanno poi moltiplicati per due: sette per la cosmogenesi e sette per l’antropogenesi. H.P.B. parla, infatti, di due umanità: l’Umanità Elohita (il primo gruppo di sette uomini) e l’Umanità Jehovita (il secondo gruppo di sette uomini). Il gruppo Jehovita si riferisce all’umanità qui, sulla terra, anche se non limitata all’essere umano così come siamo abituati a concepirlo, ma estesa a tutti gli aspetti che l’uomo assume durante le sette Ronde sul Globo terrestre: l’intera antropogenesi. Il primo gruppo di sette, invece, riguarda la creazione dell’uomo nei piani superiori della Materia, vale a dire la creazione del Sé superiore dell’umanità ad opera delle Gerarchie Creatrici che, nei casi citati sono gli Elohim. Aspetto superiore dell’umanità, questo, che non partecipa in prima persona al percorso involutivo-evolutivo, ma ne resta in disparte, assistendo e illuminando quanto possibile il quaternario inferiore che percorre de facto il cammino.
La separazione delle Acque
La
distinzione tra forma e non-forma ha un’estrema rilevanza per
l’uomo nello stato di coscienza in cui si trova ora (il punto di svolta) e, in
generale, per l’intero cammino evolutivo che è chiamato a percorrere.
Riferendoci ancora una volta alla Genesi,
notiamo che il passo successivo alla creazione
della Luce (I giorno) è la
separazione delle acque (II giorno):
“Dio
disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”.
Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle
acque, che son sopra il firmamento. […] Dio chiamò il firmamento cielo”[16]
Dopo
la separazione delle acque, i successivi giorni della creazione si concentrano
solo sulle acque inferiori e sul firmamento (ciò che mantiene separate le
acque).
Secondo
H.P.B. la separazione delle acque del secondo giorno biblico rappresenta la
distinzione dello Spazio (Luce) in due zone: una sensibile (forma)
e una che è celata ai sensi (non-forma). Dopo avere creato lo Spazio-Luce e
dopo avere operato la separazione delle acque, Elohim-Dio concentra il suo operato sulla zona inferiore e sulla forma-zione dell’universo. A nostro modo
di vedere, questa divisione non dovrebbe essere pensata come due spazi separati
da qualcosa, come una superficie o un solido tagliato in due: quella sarebbe
una distinzione di una forma da un’altra
forma che, dal nostro punto di vista, non sarebbe affatto una separazione.
Sarebbe forse più utile pensare alle percezioni sensoriali e immaginare, per
esempio, lo spazio visivo. Questo è uno spazio formale diverso da uno spazio
informale che, però, non si vede… Ciò che non si percepisce con la vista non è
detto che si trovi da un’altra parte:
semplicemente non lo si vede, non lo
si percepisce con gli occhi: un’onda sonora si propaga nello stesso spazio
occupato dalla luce – perlomeno da un certo punto di vista – ma non la si vede.
L’aria che respiriamo non la percepiamo come percepiamo le altre forme visive:
ce ne accorgiamo con il tatto quanto soffia il vento oppure… quando manca.[17]
Ciò che non ha forma e che di conseguenza non si percepisce con i sensi,
interagisce con l’uomo e il suo cammino evolutivo tanto da vicino quanto il
mondo fenomenico. Le idee guida, il progetto della nostra storia e del nostro
futuro esistono hic et nunc e
attraverso le Gerarchie vengono manifestate nel nostro mondo, nel nostro stato
di coscienza.
Una
delle affermazioni di base dell’insegnamento teosofico contenuto nella Dottrina Segreta asserisce che, per
quanto riguarda l’antropogenesi, “[…] ogni cosa dotata di forma è preceduta e nasce dal mondo della
non-forma. Dal mondo arupa al
mondo rupa”.[18]
Il fatto è anche confermato dalla priorità della formazione dei corpi sottili rispetto
a quella del corpo fisico che segue gli altri solo per ultimo. Se si considera
la cosmogenesi un capitolo che viene chiuso con l’apertura dell’antropogenesi,
allora si perde il filo di Arianna che solo permette all’uomo di orientarsi nel
labirinto evolutivo nel quale si trova. A tale riguardo, H.P.B. scrive:
“Ogni
movimento, ogni atto, ogni gesto esteriore volontario o meccanico, organico o
mentale è prodotto e preceduto da un sentimento o un’emozione interiore, della
volontà, da un pensiero o dalla mente. Come nessun normale moto o cambiamento
esteriore può verificarsi nel corpo esterno dell’uomo se non è provocato da un
impulso interiore, così avviene per l’universo esterno o manifestato. Tutto il
cosmo è guidato, controllato e animato da serie quasi infinite di gerarchie e
esseri senzienti, ognuna con una missione da compiere e che sono i messaggeri,
gli agenti delle leggi karmiche e cosmiche”.[19]
Le forme, auditive, visive e tattili sono sempre esteriori: anche le idee, la struttura mentale ed emotiva individuale sono esteriorità – le vestimenta dell’uomo – come esteriore è, infine, l’immagine che ognuno ha di se stesso. Tutto ciò che è dotato di forma è sempre un fatto esteriore. Quando H.P.B. afferma che l’universo è elaborato e guidato dall’interno verso l’esterno, chiarifica maggiormente le idee presentate in precedenza riguardo alla priorità del mondo senza forma su ciò che ha forma. Lo spazio in cui il noumeno cosmogonico vive e risiede è lo Spazio-Luce interiore proprio all’essere umano. Dopo aver mangiato il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, l’attenzione è stata diretta attraverso i sensi all’esterno, verso il mondo delle forme, dimenticando così l’interiorità.
Conclusione
Quanto
detto sinora, può a buon diritto essere percepito come qualcosa che non ha un
riscontro diretto con l’esperienza di tutti i giorni (e questo perché la nostra
esperienza è limitata alla sfera privata, personale)
o, comunque, di nessun aiuto a risolvere i problemi che l’uomo incontra
quotidianamente. Quella lontananza di cui si è trattato, insomma, sarebbe
rimasta inalterata anche se fosse stata ridisegnata teoreticamente. Tuttavia,
qui non abbiamo trattato la cosmogenesi per darne una nuova immagine, bensì per
cambiare la concezione che abbiamo dell’antropogenesi,
vale a dire dell’uomo odierno.
La
distinzione tra rupa e arupa, la separazione delle acque, porta
alla discriminazione dell’Unità in unità
separate, alla frammentazione del tutto. Questa situazione viene reiterata
quotidianamente attraverso le percezioni sensoriali, il nostro accesso al
mondo. Ed è qui il problema. Il mondo, la cosmogenesi, che sarebbe un fatto
privo di interiorità o esteriorità in quanto non dualistico, diventa esterno e
l’attualità della creazione del cosmo si trasforma in un racconto di tempi
lontani (in una coscienza proiettata all’esterno e mai rivolta all’interno – Caino che ammazza Abele – si tratta di tempi effettivamente molto lontani). L’uomo,
allo stato attuale, percepisce la sua immagine del mondo, l’antropogenesi (un
mondo esteriore che effettivamente lui forma), ma non la cosmogenesi, che non
può vedere con i sensi perché si
tratta di una fatto interiore che agisce non vista attraverso di lui tramite
quelle entità che
Tutto questo discorso, quindi, trova una sua attualità solo se l’uomo comincia a risanare quelle fratture che oscurano la sua coscienza. Il primo scopo della Società Teosofica, tanto ripetuto e così tanto limitato alla sola parola “fratello”, dovrebbe indicare da sé la strada. Il nucleo della Fratellanza universale è la manifestazione in terra dell’Unità dell’Umanità, mentre l’assenza di distinzioni indicherebbe che tale Unità si riconquista riportando la coscienza nelle zone pre-formali della nostra costituzione. Questo non implica che poi non si avrebbe più a che fare con le percezioni sensoriali, con la mente discriminativa e con le altre strutture umane attualmente adoperate, ma che l’esperienza di tutto questo avverrebbe a partire dall’unità piuttosto che dalla separatività, dall’individualità anziché dalla personalità. La nostra esperienza, allora non sarebbe più privata, personale, ma umana.
Note:
[1] A
tale riguardo si considerino le importanti e nuove chiavi di lettura per le Stanze
di Dzyan avanzate da Renato de Grandis nell’“Introduzione generale” a
H.P.Blavatsky,
[2] Con “essere umano” ci riferiamo all’uomo attuale, in questo preciso stadio evolutivo.
[3] H.P.Blavatsky, Op. cit., pp. 267-68, corsivi nostri.
[4] I “diversi tentativi per formare gli Universi” trovano conferma anche nella Genesi, ove si dice: “Dio vide che la luce era cosa buona […]” (Genesi, I, 4); oppure, dopo la separazione delle acque dalla terra: “E Dio vide che era cosa buona” (Genesi, I, 10), e così di seguito per ognuno dei sei giorni della creazione. Perchè dire che era cosa buona se non perché sarebbe stato possibile il contrario? Ovviamente non si rende nota di un caso del genere, ma va preso in seria considerazione il fatto che della creazione dell’umanità Egli non dice, o non dice ancora, che è cosa buona.
[5] H.P.Blavatsky, op. cit., p.57, corsivi nostri.
[6] Non si fa qui alcun riferimento alla coerenza interna di un sistema formale chiuso, oggetto delle ricerche di Kurt Gödel, e all’importanza dell’apporto fenomenico in alcune dimostrazioni e creazioni di modelli nelle ricerche matematiche di confine.
[7] In questo modo, i modelli raffigurativi, quelli cioè che permettono di ricondurre il funzionamento di un processo non osservabile direttamente (e appartenente ad un ambito in cui non valgono le leggi del mondo macroscopico) a qualcosa di familiare alla mente del ricercatore (ovvero al mondo della sua esperienza), quei modelli qui non funzionano e, se usati in modo indiscriminato, possono condurre ad un’errata comprensione di quei processi (come spesso accade nella meccanica quantistica).
[8] I due testi principali a cui facciamo riferimento in questo scritto.
[9] Genesi, I, 26 (corsivi nostri).
[10] Op. cit., I, 27.
[11] Bisogna notare che di questa prima creazione dell’uomo, Dio effettivamente dice che “[…] era cosa molto buona” (Genesi, I, 31). Il mancato giudizio a cui si faceva riferimento in precedenza si riferisce a quanto avviene nel secondo capitolo della Genesi.
[12] Op. cit., II, 7 (corsivi nostri).
[13]
Queste due volte sette creazioni vengono riportate exotericamente, come avviene
per esempio nei Purana, come sette
creazioni soltanto, distinte, però, in due gruppi: le prime tre che
costituiscono
[14] Su
questo si veda: Renato de Grandis,
[15] Benchè tali suddivisioni siano da considerarsi unicamente come strumenti di studio e di analisi della struttura della Materia e dell’uomo, e quindi veri solo in senso relativo, evidenziano quelle che sono le caratteristiche fondamentali e reali della struttura del creato.
[16] Genesi, I, 6-8.
[17] Da questa prospettiva, l’insegnamento teosofico dell’assenza di distinzione di razza, credo, sesso, casta e colore assume un’altra portata: l’assenza di distinzioni basate sulla forma porta ad un’unità che vive e si apre sul mondo senza forma.
[18]
Renato de Grandis, “Nota introduttiva all’Antropogenesi”; in H.P.Blavatsky,
[19] H.P.Blavatsky, op.cit., p. 289.