La mistica poesia dei precetti aurei.

Di:  Pietro Francesco Cascino

I frammenti tratti dal “Libro dei Precetti d’Oro”,  trascritti a memoria da H.P.Blavatsky nell’estate del 1889 durante un suo soggiorno nella cittadina francese di Fontainebleau  e da essa raccolti nel trattato “La Voce del Silenzio”, costituiscono un passaggio obbligato per gli studiosi di misticismo che intendono intraprendere il Sentiero iniziatico che conduce alla mèta suprema dell’Unione con Dio.

Il Libro dei Precetti d’Oro, che fa parte della medesima serie dalla quale furono tratte Le Stanze del Libro di Dzyan (testo-base della Dottrina Segreta), è costituito da sottili lamine oblunghe sulle quali sono incisi i precetti, talvolta in lingua tibetana, ma sovente nella lingua sacerdotale (Senzar) che utilizza caratteri aventi la natura di ideogrammi. Copie dei Precetti sono generalmente conservate, incise su dischi, nei templi annessi alle scuole così dette <<contemplative>> o Mahayana.

            Nel testo “La Voce del Silenzio” sono raccolti solo tre frammenti dei trentanove che M.me Blavatsky tradusse dall’opera originale da lei trovata in un monastero buddhista dell’Imalaya.

Il primo dei tre frammenti porta lo stesso titolo del trattato, ed in questo sono contenute le indicazioni che il discepolo deve seguire per sviluppare la necessaria intuizione che gli consentirà di inoltrarsi sul sentiero occulto. Il secondo frammento, intitolato “I due Sentieri”, fa riferimento alle vie della mente e del cuore indicate al candidato per sfuggire alle illusioni ed ai pericoli che questi incontrerà sul proprio cammino.

           Nel terzo frammento denominato “Le Sette Porte” vengono indicati i modi per raggiungere la mèta suprema costituiti dai Sette Raggi: amore, armonia, pazienza, indifferenza, energia, contemplazione e meditazione.

            La prosa del primo frammento conduce l’attenzione del discepolo sul piano dell’evoluzione del terzo aspetto del Logos: il lato intellettuale della natura divina nell’uomo. L’aspirante discepolo deve essere inizialmente messo in guardia dai pericoli ai quali può essere soggetto a causa della   mancanza  di conoscenza e della capacità di controllo delle sue  facoltà psichiche e mentali inferiori ed i  poteri spirituali latenti nell’uomo.

Il potere delle mente che spinge l’uomo verso le illusioni va quindi soggiogato e rivolto ad alti ideali e all’osservazione della realtà. L’Ego umano, o Manas,  è soggetto a vibrazioni e radiazioni di genere più o meno raffinato. Il discepolo dovrà saper discernere raccogliendo solo le vibrazioni più pure, ed evitando quelle costituite da materiali grezzi, per elevarsi ai piani superiori che sono al di là delle illusioni della personalità, dell’orgoglio e del desiderio. 

Solo attraverso la concentrazione perfetta della mente (Dharana) su un oggetto interiore e la contemporanea astrazione dagli oggetti appartenenti all’universo esterno, al mondo dei sensi, l’aspirante discepolo potrà udire e comprendere la voce di Nada, ovvero la voce del tacito suono dello spirito.

La mente è detta il “rayah” o il re dei sensi come è detto nella Bagavad Gita :”Una parte del mio Sé si trasforma nello spirito immortale che attrae intorno a sé i sensi di cui la mente è il sesto velato nella materia”. La mente serve a interpretare i cinque sensi e potrà comprendere le cose chiaramente solo osservando uno stato di quiete. Patangiali definendo la pratica dello Yoga ne parla come “chitta – vritti – nirodha che significa frenare (nirodha) i turbini (vritti)  della mente (chitta).

Secondo la scuola vedantina la mente (manas) viene indicata con il suo significato più ampio di “antahkarana” cioè lo strumento che agisce tra il Sé più intimo e il mondo esterno, attraverso il quale si sviluppa il processo di cognizione dal livello più basso, legato al desiderio (Kama), fino a giungere al suo aspetto più profondo della grande coscienza che viene espresso dal triplice Sé superiore. Il manas superiore  definito da H.P. Blavtatsky come “deva-ego” divino in quanto è pensiero positivo per distinguerlo dal Sé personale.

 Riprendendo il discorso sugli ostacoli posti sul cammino del discepolo, il  pericolo, forse il maggiore, è costituito dall’ignoranza (Avidya) nella quale l’uomo normalmente giace nel corso della sua esistenza nel piano della materia.

Poiché il discepolo, senza un criterio assolutamente valido per giudicare tutto ciò che percepisce mediante i sensi e i sentimenti, senza aver superato l’aula della cognizione, cioè della preliminare istruzione, e quella della sapienza, non potrà  cogliere l’aderenza di ogni cosa con l’effettiva realtà, quale espressione della medesima ed unica Legge che governa l’Universo.

Solo il conoscitore di Atma (il Sé Uno Universale), l’Uomo perfetto che avrà abbandonato il sé al non sé, l’essere al non essere, rinunciando completamente a sé stesso per riconoscersi come parte di un'unica sostanza universale; solo questi come si apprende dai versi de “La Voce del Silenzio” potrà “riposare tra le ali del Grande Uccello…tra le ali di quello che non è nato, né muore, ma è l’AUM attraverso eterne età”. [1]

I legami stretti con la propria personalità, che derivano dalla presa di coscienza dell’Io, rappresentano ulteriori ostacoli alla crescita della coscienza che ha come obiettivo ultimo l’unione col Tutto. L’ “io sono” porta l’uomo a  gonfiarsi d’orgoglio per ciò che ha conquistato e ad accrescere il senso di separatività con gli altri esseri del creato. L’uomo spirituale dovrà invece esprimere la sua riconoscenza nei confronti delle giusta legge dell’evoluzione che coinvolge indistintamente tutti gli esseri e sentirsi parte integrante di un processo globale di crescita e di perfezionamento di ogni espressione di vita. Attraverso il superamento dei termini di attrazione e repulsione e dell’attaccamento a ciò che si adatta alla propria convenienza il discepolo dovrà porsi oltre il modo comune di esprimere la personalità  ed abbandonarsi nella totale disponibilità nei confronti del Sé superiore.

Per far ciò sarà necessario che sia puro nelle intenzioni e nei pensieri e metta al bando ogni egoismo per tutelarsi dalle influenze di entità indesiderabili degli altri piani facendosi, invece, impressionare soltanto dalle forze benefiche che lo circondano.

Per raggiungere questo livello il discepolo dovrà cercare chi dovrà dargli “… la nascita nell’Aula della Sapienza …dove la luce della verità splende con gloria imperitura”.

Il discepolo dovrà, quindi, riemergere dall’oceano di Maya, cioè dell’illusione, e lasciare che il potere di Kundalini, quale principio attivo e veicolo di Atma, si ritiri nella camera interna del cuore (in sanscrito Brahmaputra), in modo che il potere intuitivo (Buddhi) venga risvegliato e possa divenire un vero fuoco d’amore. Infatti, la coscienza centrata nel quarto “chakra” attraverso la meditazione lo rende soggetto all’influenza dell’anima spirituale, cioè del Se’ superiore essendo il cuore il centro della Triade superiore Atma – Buddhi – Manas.

Fatti propri gli affanni e le gioie del mondo; raggiunto un sentimento di unione con la natura tutta; messa a tacere la mente e svuotato del sé personale, il discepolo è ora il suolo fertile dal quale potrà germogliare il fiore di Buddha.

            La luce del Maestro unico, diffonde i suoi fulgidi raggi sul Discepolo. Questi raggi penetrano oltre le dense e oscure nubi della Materia”; il discepolo completamente assorto nel Se’ superiore, raggiunge lo stadio di Samadhi, in cui la coscienza perde ogni individualità, e diviene il sentiero stesso, la luce, il Suono, “… la voce ininterrotta  che risuona attraverso le eternità”.

 

La grande strada maestra che conduce a Dio non è altro che la Corrente Sonora chiamata Parola o Spirito Santo dai Cristiani,” Bang-e-Asmani dai Maomettani, Akash Bani o Sruti dagli Indù, Sraosha dagli Zoroastriani  e dai teosofi “La Voce del Silenzio”; Cristo ne parla come “la Voce del Figlio di Dio. “Dio trabocca nel Guru e unisce l’uomo con il Verbo affinché raggiunga la vera Casa.

 Raccogliamo ora la magia della Voce del Silenzio attraverso i versi di una poesia di Rabindranath Tagore

O Silente, se Tu non parli

 porterò nel mio petto

la pienezza del tuo silenzio.

Come la notte,

che accende le immobili stelle

in umile pazienza,

resterò muto.

Verrà l’aurora

e passeranno le tenebre.

La tua parola scenderà dal cielo

come un raggio d’oro.

Allora nel mio nido d’uccello

canterò nella tua lingua;

al ritmo che è tuo rifioriranno

i fiori del mio giardino.

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Il secondo frammento tradotto dal “Libro dei Precetti Aurei “ da Helena Petrovna Blavatsky ed intitolato  “I Due Sentieri” fa riferimento  alle due scuole della dottrina di Buddha, l’esoterica e l’exoterica chiamate rispettivamente la Dottrina del cuore e la Dottrina dell’occhio; la prima consiste degli insegnamenti che emanano dal cuore di Gautama Buddha, mentre la seconda fu opera del suo cervello.

Questo frammento esordisce con la preoccupazione dei neofiti che chiedono di poter accedere al sentiero che porta alla liberazione dell’anima e confidano nella benevolenza del Maestro  nel voler accogliere le loro preghiere. L’Adepto in primo luogo fa loro notare che sebbene tutti gli uomini dimorino nella Anima universale posseggano già in sé stessi l’aspetto universale, non essendone consapevoli non riescano a trarne giovamento.  In effetti il Maestro è nella parte più intima di ogni uomo; è il Secondo Logos, il quale si manifesta come “buddhi” nella triade spirituale dell’uomo; secondo la dottrina di Platone è il “nous”, il principio libero della materia, e per gli induisti la sorgente del pensiero creativo divino. Per potersi manifestare è necessario che l’uomo ne prenda coscienza e si elevi spiritualmente al suo cospetto. A tutti coloro che hanno raggiunto un sufficiente livello di coscienza viene svelata la strada che dovranno intraprendere per ascendere a più alti livelli. Il Maestro nei versi del secondo frammento indica i due sentieri; le tre grandi Perfezioni e le sei Virtù che consentono al corpo del candidato di trasformarsi nell’Albero della Conoscenza, avendo raggiunto la vetta della cognizione mistica. Nella nota H.P.Blavatsky dice: “Albero della Conoscenza è un titolo dato agli Adepti. Nagarjuna, fondatore della scuola Madhyamika, fu chiamato l’albero drago, essendo il drago un simbolo di sapere e di conoscenza. L’albero è onorato perché sotto l’Albero Bodhi (sapienza) Buddha ricevette la nascita e l’illuminazione, predicò il suo primo sermone e morì”. Con l’albero si rappresenta la Gerarchia, la Grande Fratellanza Bianca; questo Albero simbolico ha le radici nei piani superiori ed i rami estesi verso i regni inferiori.

Individuati i due sentieri che conducono alla sapienza ed alla perfezione, ancor prima di iniziare il viaggio, il discepolo dovrà imparare a distinguere il vero dal falso, l’effimero dall’imperituro. E ciò costituisce davvero una grossa difficoltà per  chiunque voglia affrontare seriamente questo cammino, in quanto è veramente difficile appena intuire la verità; ma chi ne dà poi  la certezza che sia la verità? Il Maestro indica il sistema per un approccio sicuro: “ impara a distinguere la scienza del cervello dalla Sapienza dell’Anima, la dottrina dell’Occhio da quella del Cuore. Sarà dunque necessario sviluppare le potenzialità del cuore per saper cogliere il messaggio che può giungerci dalla Sorgente; quella intuizione che è scevra da condizionamenti esterni; schermata dai ragionamenti della mente inferiore come dai sentimenti, e non soggiacente alle illusioni. Ma nessun progresso sarà possibile se si resta nell’ignoranza, che nei versi del frammento è paragonata ad un recipiente chiuso e senz’aria che imprigiona l’anima come un uccello in gabbia.

Sebbene, l’ignoranza sia preferibile alla scienza del cervello, la quale può addirittura sviare completamente il discepolo dalla giusta direzione. Occorre pertanto diffidare delle lusinghe della mente inferiore che nutrono gli ego personali. La mente necessita di larghezza di vedute e  profondità di pensiero perché possa essere attratta dall’Anima Diamante ( Vajrasattva – titolo del Buddha supremo). La mente, riportano i versi del frammento “ è come uno specchio: raccoglie polvere mentre riflette”; e quindi dovrà essere spolverata ogni giorno perché possa riflettere quella realtà che l’uomo dovrà sapere interpretare con l’aiuto del cuore fondendo la mente con l’anima.

Ciò potrà avvenire certamente con la realizzazione delle sei virtù trascendentali o “paramita”: Carità (dina), moralità (cila), pazienza (Ksanti), energia (virya), meditazione (dyana), saggezza (prajna); alle quali si aggiungono: convenienza (upaya), preghiera ( (pradnidhana), forza (bala), conoscenza (jnana). La pratica attuazione di tali virtù conduce il discepolo verso uno stato di pacato distacco, di serenità, di limpidità che mantiene la mente tranquilla mentre il corpo è agitato (nel frammento è richiamato il paragone del tronco dell’albero, immobile, mentre le sue fronde sono agitate dal vento).

La dottrina del cuore è detta “il grande setaccio” poiché man mano che si procede con il lavoro nel mondo, gli errori e i difetti vengono gradatamente setacciati e rimossi. Questo è il lavoro della mano del Karma che guida la ruota della macina liberando “il chicco d’oro dall’inutile involucro e da ogni rifiuto monda la farina

Altro insegnamento che cogliamo dai precetti e che il discepolo non dovrà ritirarsi, per cercare il sentiero, lontano dalle vicende umane, isolandosi; ma è vivendo la vita di tutti i giorni e condividendo con gli altri esseri tutti gli aspetti della dualità ; con la sua azione disinteressata e con le sue opere d’amore rivolte al bene dell’umanità, che agevolerà la sua ascesa. Uno dei precetti recita: “semina atti di bontà e ne raccoglierai i frutti”.

Tuttavia non bisogna temere né dolori né sconfitte, perché solo con la tenacia e la perseveranza, con la consapevolezza di svolgere un umile servizio, sottomettendosi alla Legge universale, rinunciando a sé stessi e mantenendo lo sguardo fermo verso la mèta; così solo si potrà cogliere il dolce frutto della liberazione finale.

Una volta giunto alla fine del sentiero l’uomo perfetto ha di fronte due possibilità di scelta: o la beatitudine immediata, dimorando nel Nirvana, o la beatitudine differita. Se l’Arhat giunto innanzi alla soglia dell’eterna beatitudine, vede ravvivarsi i suoi ricordi dei grandi affanni e delle sofferenze umane potrebbe decidere, mosso di pietà e compassione, di rinunciare al premio tanto agognato e, compiendo un estremo sacrificio, assumere le vesti di Nirmanakaya per svolgere una nobile missione: guidare l’umanità verso la salvezza e la libertà dell’anima. In tal caso l’Adepto sarà “tre volte onorato” avendo scelto di attraversare la via segreta che pur conduce alla beatitudine Paranirvanica, ma solo alla fine di innumerevoli Kalpa.


[1] Kala Hamsa, l’uccello , o Cigno. Da Nadavindupanishad (Rig Veda) : “La lettera A è considerata come l’ala destra dell’uccello Hamsa, la U come la sinistra, la M come la coda, e l’Ardhamatra (mezzo metro) come la sua testa”.

    Pietro Francesco Cascino è il Vice presidente del Gruppo Teosofico “Ars Regia H.P.B." di  Milano

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