OM
La sillaba sacra!
Di: Carla Zocchi
La
Māndūkya upanishad presenta la sillaba sacra OṂ analizzandone le componenti
e offre la possibilità di lettura in chiave essoterica, esoterica e segreta.
Le upanishad conosciute sono 108, di esse una decina appartengono
al gruppo delle “grandi upanishad”.
Shankara ebbe occasione di affermare che la Māṇḍūkya contiene
la quintessenza di tutte le altre upanishad ma, per comprendere nella sua
completezza la filosofia che vi è insegnata, occorre avere condotto indagini
nella totalità del pensiero indiano d’altri tempi.
Il testo della Māndūkya è molto breve; comprende infatti
soltanto dodici sūtra.
Il tema ivi sviluppato porta a conoscere, oppure forse a
riconoscere, l’identità dell’Ātman individuale con il Brahman-Ātman universale.
Questa dottrina detta dell’advaita, della non-dualità, trova la sua più
profonda espressione nella filosofia di Shankara.
La Māndūkya upanishad ha dato luogo a una delle opere più
importanti della filosofia indiana: le Kārikā di Gaudapāda, vissuto all’inizio
dell’ottavo secolo. Quest’opera si compone di qauttro capitoli: la Māndūkya è
inglobata nel primo.
Māndūkya upanishad
1) Harih
è OṂ!
2) Poiché
tutto questo è veramente Brahman, proprio Ātman è Brahman. Questo Ātman
ha quattro parti (comprende quattro stati).
3) Il
primo quarto è “vaishvānara”, il quale corrisponde allo stato di
veglia “jāgaritasthāna”. La sua conoscenza è rivolta all’esterno, è fruitore
delle cose grossolane.
4) Il
secondo quarto è “taijasa”, luminoso, il quale corrisponde allo stato di
sogno “svapnasthāna”, la cui conoscenza è rivolta all’interno e fa
l’esperienza delle cose sottili.
5)
Il terzo quarto è “prājña”, il quale
corrisponde allo stato di sonno profondo “sushuptasthāna”, in cui non si
ha più alcun desiderio, non si vede alcun sogno. E’ diventato un blocco di
conoscenza globale, consiste soltanto di beatitudine (ānanda), in verità
fruisce della beatitudine; ha per bocca il pensiero.
6) Costui
è il Signore di tutte le cose, è onniscente, è il reggitore interiore, è la
matrice di tutto; infatti è l’origine e la fine delle creature.
7) Pensano
sia il quarto stato ciò che non ha né conoscenza interiore né conoscenza
esteriore, non ha la conoscenza di ambedue, non la conoscenza globale, né
conoscenza e non conoscenza contemporaneamente. Esso è non visibile, non
avvicinabile, inaccessibile, inafferrabile, non definibile, impensabile,
innominabile. La sua essenza è l’esperienza del suo proprio sé. E’ colui che
pone fine alla diversità; è pacifico, benevolo, senza dualità. Questo è l’Ātman
e come tale deve essere conosciuto.
8) Questo
Ātman in relazione ai fonemi è oṃkara,
9) Vaishvānara,
lo stato di veglia, è
10) Taijasa,
lo stato di sogno, è
11) Prājña,
lo stato di sonno profondo, è
12) Il
quarto stato, privo di elementi, inavvicinabile, che pone termine alla
diversità, che possiede la beata non-dualità, è
BIBLIOGRAFIA:
A.
Maisonneuve, Māndūkya upanishad et
Kārikā de Gauḍapāda, Paris.
Radhakrishan,
Filosofia indiana, Einaudi, Torino.
Della
Casa C., Upanishad vediche, Tea 1988.
C.
Zocchi, Riflessioni…
Karunā
Di: Carla Zocchi
Karunā, la compassione, nasce dal desiderio di liberare
tutti gli esseri viventi dalla sofferenza. Quando si percepisce che tutti gli
esseri sono fatalmente soggetti al dolore, sorge la compassione.
Il primo Bhāvanākrama, uno dei trattati di Kamalashīla
scritto nel corso del dibattito di bSam-yas (Tibet, VIII sec. d.C.), ha
inizio con l’affermazione che il Mahāyāna contiene tre cose: la
compassione, la mente illuminata (bodhicitta) e la realizzazione. La
compassione è la base, la forza portante.
Il sentiero del Risveglio inizia dalla compassione. La
percezione che il dolore è infinito in tutto ciò che è manifesto, in tutto ciò
che esiste, produce in noi un sentimento di compassione per tutti gli esseri,
senza distinzione. Nasce anche il desiderio di liberarli dalla sofferenza.
Qui è chiaramente indicato il sentiero del Bodhisattva,
colui che si è liberato dal ciclo delle esistenze, tuttavia per compassione
rimane nel mondo per aiutare gli esseri viventi.
Il Mahāchohan, il Grande Adepto, in una lettera scritta
nel 1881, indirizzata ai Teosofi, con queste parole indica il percorso del Bodhisattva:
“Il vero Teosofo non è colui che, per suo conto, si è risolutamente proposto
di raggiungere il Nirvana, ma colui che ricerca disinteressatamente i mezzi
migliori per far capire al suo prossimo il buon cammino, conducendo ad
approfittarne il maggior numero dei nostri simili”.
Il pensiero del Risveglio, bodhicitta, deve essere
accompagnato dalla pratica, la quale consiste nel seguire il sentiero in cui prajñā
(la saggezza, l’intelligenza) e upāya (i mezzi idonei, cioè l’azione
appropriata) vengono praticati contemporaneamente.
Inevitabilmente, nel corso delle nostre meditazioni, compare la necessità di sviluppare l’amore per tutti gli esseri. L’esperienza di vita ci insegna che quando usiamo il buon cuore, nascono immensi benefici.
Dagli insegnamenti emerge un metodo molto efficace per far
sorgere in noi l’amore per tutti gli esseri. Con la riflessione e l’indagine (vitarka
e vicara) ci è possibile comprendere che da un tempo senza inizio tutti
gli esseri, infiniti come il cielo, sono stati nostra madre.
Da questa consapevolezza nasce un sentimento di gratitudine per chi ha profuso su di noi l’amore materno, e sentiamo nostro dovere ricambiare usando l’amorevole gentilezza (maitri). Da questa sorge la compassione (karunā) illimitata, incommensurabile, proiettata verso il desiderio di aiutare tutti gli esseri viventi a liberarsi dalla sofferenza (duhkha). Tsong-kha-pa insiste nel consigliare questo metodo.
Per acquisire la capacità di aiutare gli esseri viventi è anche necessario conoscere i mezzi idonei (upāya) che ci permettono di realizzare le sei o dieci Perfezioni Trascendentali, le cosiddette Pāramitā, le quali sono indicate dalla signora Blavatsky nel suo libro che porta il titolo: La Voce del Silenzio, al capitolo intitolato: “Le sette porte”.
Ora mi inchino con gratitudine e rispetto davanti agli Esseri che hanno protetto la nostra Società Teosofica fin dal tempo della sua fondazione.
Faccio mia l’invocazione del vate upanishadico: “Tamaso ma jyotir gamaya”, conducimi dalla tenebra alla luce!
Carla Zocchi è la Presidente del Gruppo “Shunyata” di Torino.