Oltre il concetto di sentiero
Di: Antonio Girardi
Forse qualcuno di voi ricorderà il film di Hal Ashby, basato su una novella di Jerzy Kosinski, intitolato “Oltre il giardino”.
Il protagonista, interpretato da Peter Sellers, è un uomo apparentemente di modesto livello intellettuale, che ha vissuto per tutta la sua vita in una casa attorniata da un giardino, con un legame col mondo unicamente rappresentato dalla televisione.
Improvvisamente si trova a dover oltrepassare il muro che delimita il giardino e ad affrontare la vita ben oltre le sue rappresentazioni.
Lo salva la sua innocenza ed il film si conclude sull’affermazione, non priva di saggezza: “La vita è uno stato mentale”.
E’ pensando a questo film che ho scelto per questa riflessione, che vorrei condividere e vivere con tutti voi, il titolo: “Oltre il sentiero”.
La ragione apparirà – credo – via via
sempre più evidente.
Sullo sfondo un’ipotesi di lavoro: è solo quell’innocenza – che è amore – che può condurci ad uno stato di meditazione, oltre il sentiero.
La ventiduesima de: “Le trentasette
pratiche dei bodhisattva” di Tog-me Sang-po è così sintetizzata: “Qualsiasi
cosa appaia è la propria mente, la mente stessa è libera fin dall’inizio degli
estremi delle elaborazioni. Attraverso la conoscenza di ciò, il non portare
attenzione ai segni di percepito e percepiente è una pratica dei bodhisattva”.
Il
concetto di “sentiero” è assai caro alla tradizione spirituale ed
esoterica, nel cui ambito è uno dei simboli più diffusi, rappresentando il
percorso che conduce dall’ignoranza alla saggezza, dal buio alla luce, dal
particolare all’universale.
E’
sufficiente por mente in proposito all’esempio rappresentato dall’itinerario
mistico in sette tappe sintetizzato nell’Evangelo di Giovanni dagli stadi della
passione di Cristo: lavanda dei piedi, flagellazione, incoronazione di spine,
crocifissione, morte mistica, sepoltura, resurrezione e risalita in cielo. (1)
Un ulteriore esempio è quello
dell’iniziazione rosacrociana, che si caratterizza nei seguenti stadi: studio,
conoscenza immaginativa, conoscenza ispirata, preparazione della pietra
filosofale, corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo, immedesimazione nel
macrocosmo, beatitudine divina. (2)
Nell’ambito
spazio-temporale, nelle cui illusioni siamo pienamente immersi, il concetto di
sentiero ha una sua significanza. L’esperienza sensoriale e mentale inferiore
ci mostra che, attraverso la conoscenza che deriva dall’esperienza, a sua volta
condizionata in chiave educativa dalle rielaborazioni delle generazioni che ci
hanno preceduto, possiamo accumulare elementi che ci aiutano nel vivere e che
ci fanno emergere nella professione e nella vita sociale.
Sono
elementi molto rassicuranti anche a livello psicologico, perché semplificano di
molto la visione del mondo, che finisce per essere interpretato e visto proprio
attraverso di essi, allontanando così la paura dell’ignoto e del diverso.
In
questo senso il “sentiero” diventa un rifugio ma sarebbe forse più
corretto parlare di “sentieri”, perché il medesimo schema si applica
contemporaneamente a diversi aspetti del vivere del singolo individuo.
Ognuno
di noi infatti sta percorrendo una miriade di sentieri e ciascuno di essi è
caratterizzato da un percorso che parte da un certo punto ed arriva ad un certo
altro, il tutto in un determinato o ipotetico lasso di tempo.
Abbiamo
così un sentiero per la vita spirituale ma lo abbiamo anche a livello della
nostra professione, del nostro sapere mnemonico, dei nostri hobbies, delle
nostre conoscenze del mondo.
Il
sentiero ha molto a che fare con l’accumulazione della conoscenza ed anche con
l’autorità che viene attribuita a qualcosa o a qualcuno.
A
livello del mentale inferiore, essenzialmente dunque del relativo, l’essere
umano è immerso in una serie considerevole di sentieri e di percorsi. Anche in
virtù di questa abitudine viene naturale, forse, parlare di sentiero a
proposito della vita dello spirito.
Ma
nel secolo scorso c’è poi stato Jiddu Krishnamurti che, riprendendo alcuni
concetti millenari cari alla tradizione non dualistica, ha con forza affermato
che la verità e la consapevolezza non sono connesse ad un sentiero
predeterminato. Chi di noi può dimenticare i discorsi tenuti da J.K. ad Ommen
sul finire degli Anni Venti? E la sua affermazione: ”La verità è una regione
impervia. Non c’è alcun sentiero che vi conduca, nessuna religione, nessuna
setta. E’ questo il mio saldo principio, che sostengo in maniera assoluta e
incondizionata. La verità è senza
limiti, non può essere condizionata, né può essere raggiunta per vie garantite
in partenza e quindi non può nemmeno venire organizzata”. (3)
Qualche
decennio prima, non casualmente, H.P.Blavatsky aveva pienamente sancito il
principio della libertà di ricerca in seno alla Società Teosofica e proprio il
fatto che nell’ambito della S.T. non vi siano percorsi definiti da preesistenti
dogmi è da un lato una peculiarità fondamentale e molto apprezzata dai più, pur
essendo oggi, come nel passato, una delle maggiori cause di critiche alla
Società stessa.
René
Guénon ha parlato a proposito della Società Teosofica come di una “pseudo
religione” in grado di dare solo delle “pseudo iniziazioni” e si è
appellato alla Tradizione, concetto questo assai diverso da quell’“Eterna
saggezza” di cui parlava H.P.B..
Altre
eminenti persone hanno lasciato
Ancor
oggi alcune delle persone che si avvicinano alla Società chiedono che cosa si
debba fare e quale sentiero si debba percorrere per raggiungere l’iniziazione e
per acquisire, attraverso le tecniche più opportune, i poteri psichici.
Effettivamente
una delle riflessioni più importanti che un ricercatore spirituale deve affrontare
in via preliminare è quella che si riferisce all’esistenza o meno di uno o più
percorsi iniziatici per raggiungere la consapevolezza e la realizzazione
spirituali.
La
riflessione ha aspetti e sfumature diverse. Si tratta innanzi tutto di capire
se il concetto stesso di percorso sia una necessità della vita spirituale; una
volta chiarito ciò si aprono due prospettive, entrambe problematiche: se non vi
è la necessità di un percorso quale deve essere allora l’approccio alla vita
spirituale? E se invece un percorso è necessario come si può arrivare a fare
una giusta scelta fra le tante vie che la cultura filosofico-religiosa ci mette
a disposizione?
Sullo
sfondo restano inoltre due ulteriori questioni: l’esistenza o meno della
libertà individuale ed il rapporto fra aspetti materiali e spirituali
dell’esistenza, nel senso soprattutto del significato della loro relazione
specifica. La vita è davvero una oppure i principi che la presiedono sono
almeno due, spesso definiti come bene e male?
Forse
sarebbe facile dare una precisa risposta alle nostre domande se fosse chiara e
deontologica la differenziazione fra bene e male; se fosse altrettanto chiara
la suddistinzione fra spirito e materia e se apparisse ineludibile la necessità
di un percorso ben definito, confortato da ben precise iniziazioni, ben
raggiungibili a loro volta attraverso pratiche definite e di sicuro successo.
Resterebbe
allora solo la scelta – per la verità non tanto facile e scontata - di
scegliere il percorso giusto e la quadratura del cerchio sarebbe ottenuta.
In
realtà molti essere umani sono convinti di ciò ed alimentano un complesso
notevole e variegato di filosofie, di religioni, di scienze, spesso in
contrasto fra loro anzi, in competizione, quasi che anche la verità fosse da
considerare un prodotto in qualche modo da vendere.
L’atteggiamento di molti di questi
esseri umani non è per la verità molto dissimile da quello delle persone
coinvolte nei giochi della politica, della competizione economica o sportiva.
Hanno infatti in comune il concetto di parte, di presa di posizione, di
differenziazione dagli altri basata su di un qualche principio che viene
assunto come fondamentale e più importante, come “vero” in
contrapposizione ad altri che sarebbero invece “falsi”.
Dovremmo forse chiederci: c’è violenza
e separazione in un simile atteggiamento? E, in seconda battuta, questo
atteggiamento alligna anche nel nostro cuore ? Pensiamo anche noi di essere
migliori degli altri per effetto della supposta esattezza delle nostre tesi?
A volte per sentirsi “buoni” gli
spiritualisti si appellano al principio di tolleranza, sulla base del quale
viene ammessa la diversificazione del pensiero e del sentire.
Ma la vera tolleranza non ha più come
retroterra psicologico la convinzione della superiorità del proprio sentire e
del proprio pensiero.
In
un passo essenziale de “Ai Piedi del Maestro”: troviamo scritto: “Devi provare in cuor tuo perfetta tolleranza
per tutti ed un sincero interessamento nelle credenze di quelli di altre
religioni, nella stessa misura che lo hai nelle credenze della tua propria.
Perché la religione loro è un sentiero che conduce all’Altissimo, precisamente
come lo è la tua. E per aiutare tutti devi comprendere tutto”. (4)
Ma come è possibile realizzare un
sentimento di tolleranza così inteso?
Ci soccorre la prima delle Paramita
Buddiste, quella che si sostanzia nella sospensione del giudizio discriminante.
Il reale può essere visto soltanto con
mente e cuore puri e non contaminati da pregiudizi, che finirebbero per rendere
opaca la visione.
Vedere, osservare e non giudicare è tutto
quello che va fatto per far sì che il reale si schiuda in una possibilità di
superiore comprensione per la nostra mente e per il nostro cuore.
Sottilmente J. Krishnamurti affermava
che solo l’osservazione neutrale può consentirci una reale consapevolezza, che
nasce non dalla sua definizione ma dall’atto stesso di osservare e di essere.
Si
chiede J. Krishnamurti: “Possiamo
osservare noi ed il mondo – perché il mondo è noi - senza fare alcuna scelta?” E indica questa risposta alla
domanda: “Osservare così porta con
sé una consapevolezza che non ha alcun bisogno di essere coltivata. E non serve
che ci sia qualcuno, o che ci siano dei libri, o dei nastri a ricordarcela.
Quando ci siamo resi conto della verità che quello che succede fuori di noi è
essenzialmente simile a quello che succede dentro di noi, non abbiamo più
bisogno di alcun promemoria”. (5) E
ancora: “Che cos’è che produce
l’attenzione totale? Non è un metodo né un sistema: questi producono quello che
promettono, un risultato. Ma l’attenzione totale non è un risultato più di
quanto lo sia l’amore; essa non può essere indotta, non può essere provocata da
nessuna azione al mondo. L’attenzione totale è la negazione dei risultati
dell’inattenzione”. (6)
C’è un grande senso di fiducia, di
speranza e di positività, anche esistenziale, in questo approccio; infatti
mentre tutte le logiche basate su di un percorso si fondano su di una qualche
mappatura della realtà che viene assunta aprioristicamente come vera e dunque
sulla necessità di una conoscenza che sia in grado di comprenderla e di
decodificarla, l’approccio krishnamurtiano, basato sull’osservazione, affranca
l’uomo dalla necessità di accumulazione e lo libera dalla necessità di
schematismo dei percorsi predefiniti.
Tutto ciò non porta assolutamente ad un
lassismo spirituale, tutt’altro.
Infatti,
se adotta questo metodo, l’essere umano è chiamato ad un approccio globale ed
integrale alla vita, un approccio che contiene un ulteriore spazio verso la
libertà dal conosciuto e dunque dall’esperienza.
L’esperienza ci influenza e ci
condiziona ma è chiaro che il non attaccamento ai frutti dell’esperienza apre
nuove possibilità di vivere la dimensione spazio-temporale, non più in una mera
catena di cause ed effetti percepita dai sensi e dunque limitata alla realtà
tridimensionale ma nella sua potenzialità dirompente tutta raccolta nell’attimo
presente, vera e propria porta verso la dimensione dell’eterno, cioè in ultima
analisi dell’essere.
Ecco
allora che l’osservazione può essere applicata in modo globale anche dal punto
di vista temporale: permette di comprendere il senso della storia e l’influenza
del passato, apre la possibilità di comprendere non il futuro voluto, ma il
futuro che “è”.
Attraverso
l’osservazione basata sull’assenza del giudizio discriminante l’essere umano si
apre alla dimensione della contemplazione e della meditazione, superando la
divisione fra osservatore e cosa osservata e superando il condizionamento del
tempo.
La libertà diventa così essere
nell’atto, nel momento che è tempo senza tempo.
Nella
dimensione di una mente non più separata dal cuore e non più condizionata dal
conosciuto si apre la dimensione dell’intuizione, in grado di collegare in via
sintetica diversi e differenti piani ma soprattutto di essere scintilla
autentica del tutto, vero riflesso dell’essere.
Nella Bhagavad Gita c’è un capitolo,
l’undicesimo, in cui Krishna si mostra ad Arjuna sia nella sua veste d’Amore e
di bellezza sia nella sua veste terrifica.
Arjuna resta turbato e Sri Bhagavan, a proposito della prima veste gli dice: “Né per i Veda né per l’austerità né per i sacrifici è possibile vedermi nell’aspetto in cui tu poc’anzi mi hai veduto. Per mezzo d’incrollabile amore, o Arjuna, Io posso essere conosciuto, veduto e penetrato sotto tale aspetto, o Paramtapa”. (7)
L’Amore
è la grande chiave unificatrice della comprensione dell’universo. Senza di esso
la visione resta sempre illusoria. Osserva Raphael, uno dei maggiori
commentatori contemporanei della Gita: “Così il sogno, per il sognatore-io notturno è reale: egli vede, tocca,
agisce; nessuno può dubitarne. Se però guardiamo bene le cose, dal punto di
vista della veglia dobbiamo dire che esso non è reale”. (8)
In questo gioco di differenti
consapevolezze spesso gli stessi ricercatori spirituali sono reciprocamente in
difficoltà nel comunicare i loro mondi e le loro visioni del mondo. Ma questo
significa che non sono sul piano dell’osservazione totalizzante e della
sospensione del giudizio cioè, in ultima analisi, sono ancora su di un qualche
sentiero e percepiscono anche gli altri nella logica dei sentieri separati e
della relatività.
Forse
è tempo di demitizzare il concetto di sentiero e, soprattutto, di ricondurlo ad
un aspetto parziale, limitato, forse utile e rassicurante ma certo non
filosoficamente essenziale per la comprensione di ciò che è.
Il
sentiero “appare”, non è.
L’essere
umano percepito in un sentiero è incasellato, limitato, giudicato.
Anche
la nostra anima incanalata in un sentiero è specializzata, legata alle
abitudini, agli schemi.
Necessita
dunque all’uomo ed a ciascuno di noi una visione meno specialistica e limitata,
una visione che, in ultima analisi, potremo definire “innocente” ma
perché ciò possa accadere è necessario che l’essere umano e ciascuno di noi si
giochi fino in fondo, in modo integrale, abbandonando le proprie apparenti
sicurezze e le supposte apparenti certezze.
La
logica del sentiero è la più facile e rassicurante, destinata com’è a portarci
da un punto definito ad un altro punto altrettanto definito.
Abbandonare
gli schemi delle diverse visioni del mondo significa aprirsi alla dimensione
dell’amore, che non è separazione, giudizio, abitudine.
Non
è forse scritto ne “La voce del silenzio”: “Tu non potrai percorrere il Sentiero prima di
essere diventato il Sentiero stesso”? (9)
Siamo dunque pronti all’amore?
1. GERHARD
WEHR “Novecento occulto” Neri
Pozza Editore, Vicenza, 2002 pag.73;
2. Idem ibidem pag. 74;
3. JIDDU
KRISHNAMURTI brano tratto dal discorso tenuto ad Ommen (Olanda) il 3 agosto
1929, giorno dello scioglimento dell’Ordine della Stella;
4. ALCYONE “Ai Piedi del Maestro” Edizioni Teosofiche
Italiane, Vicenza, 2002 pag. 37;
5. JIDDU
KRISHNAMURTI “Domande e Risposte”,
Ubaldini Editore, Roma 1983 pag. 82;
6. Idem “Taccuino”,
Ubaldini Editore, Roma 1980 pag. 90;
7. “Bhagavad
Gita” Il Canto del Beato, Traduzione e commento di Raphael, Edizioni
Asram Vidya, Roma 1996 pag. 232;
8. Idem
ibidem pag.236;
9. H.P.BLAVATSKY (Traduzione) “
Antonio Girardi è l’attuale Segretario Generale della Società Teosofica Italiana.
Relazione presentata in occasione della Scuola Estiva dei Paesi Latini (Naarden, Olanda, agosto 2002).