Il Buddhismo Vajrayana

 Di: Renato Mazzonetto

         “Vajra” in sanscrito significa diamante, il re delle pietre preziose, che può tagliare ogni altro minerale, ma che non può essere distrutto da nessun altro. “Yana” significa sentiero. “Vajrayana” quindi significa “Sentiero Adamantino”, nel senso di veicolo indistruttibile e insuperabile per raggiungere l’Illuminazione.

         Vi sono anche altri nomi con cui vengono solitamente indicati questi insegnamenti del Buddha; “Buddhismo Tibetano”, “Lamaismo” e “Tantrismo” sono molto spesso usati come sinonimi del “Vajrayana”, ma non sono termini altrettanto corretti e precisi.

         Dire “Buddhismo Tibetano” non è corretto perché questi insegnamenti vengono dall’India, anche se lì, a causa delle invasioni islamiche nel XII° secolo d.C., del Buddhismo rimasero solo le rovine dei templi e dei monasteri. In Tibet, invece, proprio in quel periodo, il “Vajrayana” trova una nuova e più duratura fase di diffusione.

         Dire “Lama-ismo” equivale a dire “Guru-ismo”, in quanto “Lama” è il corrispondente tibetano del termine sanscrito “Guru” che significa Maestro spirituale; perciò indicare il “Vajrayana” con tale termine significa voler ridurre a semplice esercizio devozionale insegnamenti che sono basati invece su una rigorosa verifica personale della validità di ciò che viene insegnato.

         Il termine “Tantrismo” può dar luogo a fraintendimenti in quanto esistono scuole “tantriche” anche nella tradizione induista. E’ necessario quindi specificare il tipo di “Tantrismo” cui ci si riferisce, visto che i Tantra buddhisti e i Tantra induisti sono sistemi con finalità e tecniche assai diverse tra loro.

         Il tema centrale del Buddhismo Vajrayana è la comprensione che tutti i nostri problemi, difficoltà e sofferenze vengono dalla nostra mente, dal nostro modo di pensare, dalla nostra incapacità di comprendere pienamente ciò che accade; sia dal punto di vista della realtà relativa che dal punto di vista della sua essenza, cioè la Realtà Ultima.

         Una determinata situazione può essere considerata problematica da una persona, può essere assolutamente indifferente per un’altra, oppure può essere addirittura fonte di piacere e gratificazione per qualcun altro. Tutte le molteplici esperienze delle nostre esistenze, secondo questa tradizione, sono create dalla nostra mente e sono percepite, vissute e trasformate dalla nostra mente.

         A questo punto va precisato che quando si parla di mente nel Buddhismo, si intendono non solo i pensieri, ma anche i sentimenti, le emozioni, le sensazioni e tutto ciò che un essere può sperimentare.

         Conoscere, realizzare la natura ultima della mente, della propria mente, è la scorciatoia verso l’illuminazione; anzi, conoscere perfettamente la Natura Ultima della nostra mente è la completa ed insuperabile Illuminazione, la Buddhità.

         “Sang-Giè” è il termine tibetano che indica il Buddha e la Buddhità. E’ un termine composto da due parole. “Sang” significa “completamente purificato” dalle emozioni negative come la collera, l’orgoglio, la gelosia, l’ignoranza e l’attaccamento, “Giè” significa “completamente maturato”, indicando Colui che ha sviluppato completamente tutte le qualità positive della Mente, cioè Saggezza senza limiti, Compassione senza limiti, Capacità illimitate di aiutare gli esseri! Questa è l’essenza di tutti gli esseri che hanno una mente, questa è la nostra vera essenza ed è questo che un praticante del Vajrayana si augura di raggiungere per il bene di tutti gli infiniti esseri!

         Quando si decide di scalare una montagna e si sceglie la via più breve, ci si affida ad una Guida esperta. Allo stesso modo, in questo sentiero il ruolo del Maestro, il Lama, è ovviamente fondamentale. Il Maestro è colui che ha già scalato la montagna, colui che conosce perfettamente la natura ultima della mente e che quindi è in grado di guidarci sul sentiero che ci porterà alla cessazione della sofferenza, attraverso la realizzazione della natura ultima della nostra mente.

         Il III° Karmapa, Rangjung Dorje, nella sua “Preghiera di Aspirazione al Mahamudra”, al verso 19 dice: “Cik She Kun Ton”, che significa:”Capire questo Uno (la mente) significa realizzare Tutto”.

         Il segreto della vita quindi non sta al di fuori di noi, ma va cercato dentro noi stessi. “E’ così vicino a noi che noi non riusciamo a vederlo” dice Kalu Rinpoche, un altro grandissimo Maestro del Vajrayana vissuto nel secolo scorso.

         Come facciamo a riconoscere il nostro vero volto, la nostra “essenza”, la nostra Buddhità? Da dove si comincia?

         A questa domanda risponde in modo molto chiaro Khenpo Tsultrim Gyamtzo nel suo “Stadi progressivi di Meditazione sulla Vacuità”, quando parla della “Profonda Comprensione” che sorge dallo “Studio”, dalla “Riflessione” e dalla “Meditazione”. Khenpo Tzultrim dice: “Il Buddhismo nel suo insieme è strutturato attorno a questo triplice addestramento, lo ‘Studio’, la ‘Riflessione’ e la ‘Meditazione’. Mentre gli eruditi buddhisti si concentrano sullo ‘Studio’ o l’ascolto della dottrina del Buddha, i logici studiano i mezzi validi per conoscere e ragionare, strumenti con cui si riflette e si è capaci di discernere ciò che è vero e ciò che vero non è. Questo corrisponde al secondo stadio, quello della ‘Riflessione’. Gli Yogi o meditanti invece sono coloro che avendo stabilito attraverso il corretto ‘Studio’ dei testi del Buddha e la ‘Riflessione’ sulle istruzioni personali ricevute dal Maestro spirituale sono impegnati nell’Arte di abbandonare le proprie illusioni”. Questo è ciò che si intende con il termine “Meditazione”.

         In più di vent’anni di “Studio”, “Riflessione” e “Meditazione”, ho ricevuto insegnamenti in Tibet, India, Nepal, Sikkim ed Europa dai più grandi Maestri del Vajrayana esistenti al mondo e non ho mai trovato una definizione più profonda e più precisa di questa!

         La “Meditazione nel Buddhismo “tibetano” non è una fuga dai problemi, dalla sofferenza e dal caos della vita moderna, oppure la ricerca di un qualche paradiso artificiale a buon mercato, ma è un’Arte; semplicemente “l’Arte di abbandonare le proprie illusioni”, perché è dalle nostre illusioni che derivano i problemi e le sofferenze nostre e di tutti coloro che ci circondano. A questo punto diventa estremamente chiaro come mai questo sentiero sia definito “Adamantino”, “Insuperabile” e sia considerato il sentiero più breve verso l’Illuminazione. Affrontare il problema principale, l’ignoranza, l’illusione, la non conoscenza in modo così diretto, è sicuramente il mezzo più veloce per raggiungere la meta, evitando di perdersi in inutili speculazioni filosofiche o fraitendimenti di qualsiasi altro genere.

         Detto questo, Khenpo Tzultrim continua dicendo: “Una cosa è il decidere attraverso il ragionamento ciò che è vero e un’altra cosa è il vedere effettivamente il mondo in quel modo”.

         A questo punto Khenpo Tzultrim ci spiega la fondamentale differenza tra una conoscenza puramente teorica della realtà, come quella che si può ottenere dallo “Studio” e dalla “Riflessione” e l’esperienza diretta della “Verità Ultima” che è possibile solo attraverso il completamento delle varie fasi della “Meditazione”. E’ la differenza che c’è tra il vedere una città come Vicenza su una mappa e il trovarsi al centro in Piazza dei Signori; ed è la stessa differenza che si percepisce chiaramente tra un erudito e un Illuminato, al di là delle tradizioni a cui appartengono.

         Khenpo Tzultrim continua dicendo: “Affidandosi a queste tre pratiche e usando ognuna di esse per rafforzare le altre, la nebbia della confusione e le nuvole dell’ignoranza sono rimosse. Saggezza e Compassione possono così risplendere inostruite come il sole che penetra attraverso la bruma all’alba”.

“Studio”, “Riflessione” e “Meditazione” sono quindi strumenti indispensabili al processo di trasformazione verso la Buddhità, non possiamo privilegiarne uno e trascurare gli altri; l’esempio che i Maestri citano frequentemente è il seguente: “Meditare” senza lo “Studio” e la “Riflessione adatti è come voler centrare un bersaglio scoccando una freccia nell’oscurità, cioè senza vedere chiaramente il bersaglio. D’altra parte, “Studiare” e “Riflettere” senza “Meditare” è come voler scalare una montagna essendo privi di gambe e di braccia.

         Mi sembra importante evidenziare che questi preziosissimi insegnamenti di Khenpo Tzultrim Gyamtzo si concludono con una immagine particolare, l’Alba, che indica chiaramente l’inizio di un nuovo giorno, l’inizio di una nuova vita, di un modo nuovo di condividere l’esperienza della nostra Vita con tutte le persone che incontriamo e con tutti gli esseri che ci circondano.

         Tuttavia per essere in grado di seguire questo sentiero, il Vajrayana, è necessario avere la “Corretta Motivazione, “Bodhi-citta” in sanscrito, “citta” significa “mente”, “Bodhi” significa “Risveglio”, “Illuminazione”.

         “Bodhicitta” quindi significa “Mente del Risveglio”, “Mente rivolta alla Illuminazione” e sta ad indicare la motivazione altruistica di seguire il sentiero del Buddha non solo per il proprio beneficio, ma bensì per il beneficio di tutti gli infiniti esseri senzienti.

         Non importa assolutamente che tipo di tecniche si tenti di praticare, quante iniziazioni della classe più alta di Tantra abbiamo ricevuto dai più famosi tra i Lama tibetani, se non abbiamo la “Corretta Motivazione, la motivazione altruistica, non stiamo praticando il Vajrayana, ma stiamo semplicemente alimentando il nostro orgoglio!

         A tale proposito vorrei condividere con Voi alcuni insegnamenti, Gemme di Saggezza Adamantina, che provengono da Colui che è conosciuto come “Il Re degli Yogi del Tibet”, Sua Santità il XVI° Gyalwa Karmapa.

         A riguardo di “Bodhicitta”, la motivazione altruistica, il XVI° Gyalwa Karmapa dice: “Senza ‘Bodhicitta’ l’Illuminazione è impossibile. La Buddhità non avviene per caso, per errore o forzatamente. Sarà ottenuta intenzionalmente, volontariamente; perciò ‘Bodhicitta’ è veramente importante! Senza ‘Compassione’ e senza ‘Devozione’ è impossibile tentare di raggiungere l’illuminazione; ‘Devozione’ e ‘Compassione’ sono veramente importanti! Se non sapete chi è il Buddha, non potete avere ‘Devozione’, se non conoscete le sofferenze del samsara, non potete avere ‘Compassione’. Per avere vera ‘Devozione’ dovete sapere chi è il Buddha, per avere vera ‘Compassione’ dovete conoscere le sofferenze del samsara. Il modo migliore per sapere chi è il Buddha e per conoscere le sofferenze del samsara è conoscere se stessi! Se Voi sapete quale è la Vostra essenza, questa è il Buddha. Per conoscere le sofferenze del samsara, basta essere consapevoli di come soffrite proprio ora. Conoscendo le nostre potenzialità, noi conosciamo il Buddha; conoscendo le nostre difficoltà attuali e le nostre illusioni, noi conosciamo le sofferenze del samsara. Conoscendo queste due, c’è ‘Devozione’ e ‘Compassione’. Con ‘Devozione’ e ‘Compassione’ ci sarà vera ‘Bodhicitta’, che porta all’Illuminazione!”.

         Dopo queste Gemme di Saggezza Adamantina e queste Scintille di Illuminazione provenienti dal Karmapa, Colui che incarna l’azione compassionevole di tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro, non mi resta che concludere questa brevissima presentazione del Vajrayana con un semplice Augurio: “Possano tutti gli esseri incontrare la Felicità e le cause della Felicità. Possano tutti gli esseri essere separati dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza. Possano tutti gli esseri non essere mai separati dalla ‘Sublime Felicità’, priva di ogni sofferenza. Possano tutti gli esseri dimorare nella ‘Grande Equanimità’, libera da ogni attaccamento e avversione parziali”.

 

Renato Mazzonetto, vicentino laureato in filosofia, è stato riconosciuto nel 1997, dopo un ritiro di meditazione di tre anni, tre mesi e tre giorni, trascorso presso il Centro Kagyu Samye Ling, come insegnante di Meditazione e Filosofia Buddista.

E’ presidente di Rokpa Italia Onlus. Ha fondato centri Samye Dzong a Vicenza, Venezia, Padova e Assisi.

 

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