La Cristologia de "La Dottrina Segreta" e l'esegesi moderna (Il contributo della Teosofia allo studio del Cristianesimo) Di Edoardo Bratina |
“Gli insegnamenti di Cristo sono insegnamenti
occulti che possono essere spiegati soltanto
all’atto dell’iniziazione”.
(H.P.
Blavatsky:
Nell’attuale
momento storico, in cui avviene una generale revisione dei valori e la ricerca
di nuove dimensioni in ogni settore dell’esperienza umana,
Il mondo
cristiano si trova in una fase estremamente critica in cui le verità antiche
non vengono più comprese ed i tentativi moderni di interpretarle risultano
spesso inadeguati.
Anche nei cenacoli teosofici a torto si ritiene talvolta che gli autori teosofici abbiano un atteggiamento critico nei confronti del Cristianesimo e una particolare predilezione per le religioni orientali, e specialmente per quelle indiane, ma tale impressione è alquanto unilaterale. Lo scopo di questo breve saggio è quello di presentare un sunto dei principali luoghi della esegesi razionale e teosofica che permettano una comprensione meno superficiale delle Scritture Cristiane e in particolare di alcuni brani salienti del Vangelo, come introduzione ad una visione più vasta del Messaggio di Cristo.
Prima di
entrare in argomento forse è opportuno ricordare che H.P. Blavatsky ne
Uno dei compiti quindi che H.P. Blavatsky indica ai membri della Società Teosofica è quello della ricerca nelle letterature religiose antiche e ciò allo scopo di promuovere, con la loro conoscenza, la fratellanza umana. H.P. Blavatsky afferma persino che chi non ha tale scopo, non ha ragione di entrare nella Società Teosofica.
Quale
dovrebbe essere l’atteggiamento di un teosofo di fronte alle religioni in
generale, lo precisa H.P. Blavatsky nel capitolo de
Altri
ancora ritengono che H.P. Blavatsky, benchè avesse esaltato la figura di Gesù
Cristo, non attribuisse molta importanza alle Scritture ebraiche e cristiane,
ma anche questa opinione è inesatta. Infatti ne
Malgrado tale incentivo della Fondatrice spesso si trascura negli ambienti teosofici lo studio delle Scritture cristiane, forse ritenendo che siano di minore interesse rispetto a quelle orientali, ma se uno degli scopi essenziali della Società Teosofica è appunto quello di promuovere lo studio comparato delle religioni, quella cristiana non può essere esclusa o sottovalutata ed è quindi nostro compito di studiare e di comprendere le Scritture cristiane, almeno quanto quelle degli altri popoli e di rendere gli altri partecipi del risultato delle nostre ricerche.
È opportuno pertanto, dapprima apprendere che cosa pensasse H.P. Blavatsky del Cristianesimo e consultare le fonti più autorevoli della letteratura teosofica, religiosa e razionale.
Oltre alle principali opere di H.P. Blavatsky, sono indubbiamente molto importanti le lettere private che essa stessa scrisse di sua mano ai suoi congiunti in Russia ed ai suoi collaboratori più intimi in relazione al Cristianesimo in generale e all’Ortodossia in particolare.
In una lunghissima lettera, che C. Jinarajadasa definisce come una professione di fede di H.P. Blavatsky, scritta alla zia Nadyeshda Andrejevna Fadeyev da New York nel 1877, riferendosi all’Iside Svelata, allora appena pubblicata, H.P. Blavatsky dice: “Comprendimi, qui la nostra Ortodossia non c’entra. Il libro non la cita nemmeno. Ho rifiutato una volta per sempre di analizzarla perché desidero conservare almeno un cantuccio del mio cuore, dove non entri il dubbio — un sentimento che respingo con tutta la mia forza. Il popolino ortodosso è sincero, la sua fede conduce le masse al bene… il Maestro ammette tutto ciò e dice che l’unico popolo al mondo di cui la religione non è una speculazione, è proprio il popolo ortodosso…”4.
Più oltre nella stessa lettera H.P. Blavatsky afferma: “… io non mi oppongo a Cristo o a Gesù (come nessuno dei nostri confratelli). Non sono contro il vero Cristianesimo, ma soltanto contro il falso Cristianesimo occidentale…”5.
In
un’altra lettera ancora, datata da New York il 28 ottobre 1877, diretta alla
zia, parlando ulteriormente dell’Iside Svelata, H.P. Blavatsky dice: “…
certamente non troverai una sola parola contro
H.P. Blavatsky altrove soggiunge ancora: “… io non sono buddhista e temo neppure cristiana nel senso comune della Chiesa. Io credo invece ciecamente in quelle parole di Cristo che comprendo e più ancora in quelle che furono da Lui pronunziate nel Sermone della Montagna…”7.
H.P. Blavatsky seguita poi a dire: “Mi sembra che sino dal giorno della mia nascita non ero mai cristiana, pure vi erano dei momenti in cui ho creduto profondamente che i peccati possono essere rimossi dalla Chiesa e che il sangue di Cristo mi ha redenta…”8 e conclude la predetta lettera con le seguenti parole: “Io credo nel Dio Uno, nell’immortalità dell’anima e nella legge immutabile della retribuzione. Amen” (ibid).
In un’altra lettera molto interessante diretta pure alla zia ad Odessa, datata da Bombay il 21 febbraio del 1880, riferendosi ancora all’Iside Svelata, H.P. Blavatsky afferma: “Nell’Iside Svelata non vi è una sola parola contro il Cristo, nulla, salvo il più grande rispetto e riverenza e adorazione. Ho riportato alcune frasi e una di queste nel II volume a pagina 575, righe 13-20, dice queste parole: ‘Perché dunque i cristiani non dimostrano la loro riverenza a Gesù di Nazareth, come ad una personalità mille volte più alta, più nobile e moralmente più elevata e più grande di Maometto, Krishna, Buddha, ecc. seguendo il Suo esempio ed il Suo insegnamento, anziché adorarlo come un Dio, con una fede cieca e sterile che Lo rende un idolo, proprio come certi buddhisti che limitano il loro buddhismo nel girare la ruota della legge?’. Questa frase compendia tutta l’essenza di quello che dico di Gesù nell’Iside…”9.
Per inciso dobbiamo ricordare che questa citazione non si trova testualmente nell’Iside Svelata; ovviamente H.P. Blavatsky l’avrà citata a memoria ed ha omesso i nomi di Krishna e Buddha in modo che la frase in realtà suona: “… perché Gesù di Nazareth che è molto superiore, più nobile e moralmente più elevato di Maometto non viene onorato e seguito,… ecc.”10. Nell’Iside Svelata cioè vengono omessi i termini di confronto con Krishna e Buddha, comunque vediamo che H.P. Blavatsky aveva un altissimo concetto di Gesù e una sincera fede nella Chiesa Cristiana Ortodossa11.
Ne
Questa affermazione ci presenta una notevole difficoltà di fronte all’impresa che ci proponiamo, perché l’iniziazione autentica consiste “… in un processo accelerato di evoluzione che porta l’iniziato a realizzare in se stesso ciò che l’uomo sarà probabilmente alla fine di un tempo incalcolabile… l’iniziazione ha come fine di creare il capolavoro della specie umana…”13. Ma coloro che si occupano di Teosofia hanno già fatto qualche passo vacillante sul Sentiero che conduce alla iniziazione spirituale e pertanto anche se non comprendono appieno i Misteri contenuti negli insegnamenti di Cristo, sono almeno in grado di apprezzarli in qualche misura, come dice Clemente di Alessandria: “A coloro che hanno orecchie per udire, non è necessario spiegare il Mistero, ma soltanto accennare quanto basta…”14.
Prima di esporre alcuni aspetti salienti della esegesi del Vangelo, come prospettati dalla Teosofia, è opportuno ricordare che le Sacre Scritture sono state compilate con speciali criteri applicando i quali sistematicamente si può intendere sia la ragione di tale compilazione sia il contenuto dell’insegnamento esposto. Infatti H.P. Blavatsky stessa afferma: “… è del pari vero che il Nuovo Testamento, gli Atti e le Epistole, per quanto conservino molto della figura storica di Gesù, sono narrazioni simboliche e allegoriche…”15. Per comprendere tali narrazioni occorre riferirsi quindi ai metodi usati dalla scuola rabbinica e cabalistica, seguita dagli alchimisti e mistici della tradizione pitagorica e platonica che si perpetua negli ordini contemplativi della Cristianità e nella Scuola poetica del “dolce stil novo”.
Giuseppe Flavio, quasi contemporaneo di Gesù, parla di una triplice interpretazione della “Thorà”, che Gesù senza dubbio conosceva ed applicava e cioè: 1. “auditio”, semplice spiegazione letterale della Scrittura; 2. “extensio”, quando la storia narrata ha un’estensione mistica; 3. “parabolica” quando quello che si dice viene espresso sotto forma di similitudine16.
Nella introduzione allo studio del “Talmud”, leggiamo che “quattro furono i metodi esegetici in uso per interpretare le Sacre Scritture, indicati nella parola ebraica ‘pardes’ e cioè ‘peshat’ (semplice) o interpretazione letterale; ‘remez’ (allusione) o interpretazione allegorica; ‘darash’ (esposizione) o commento omiletico e ‘sod’ (mistero) o insegnamento esoterico”17.
Con lo
stesso metodo, già elaborato da Tommaso D’Aquino, Dante compilò
H.P. Blavatsky sostiene che vi sono sette chiavi che permettono di schiudere il senso arcano delle Scritture19. Possiamo supporre che queste “chiavi” siano corrispondenti ai sette piani della natura, perché ogni fatto fisico coesiste contemporaneamente su tutti i livelli della natura, benchè sotto diverso aspetto e la vera comprensione di un fatto consisterebbe in una percezione integrale. L’interpretazione tuttavia non è arbitraria, ma deve corrispondere ad una criptografia nota ai cabalisti e non accessibile ai profani.
Il progresso dell’uomo avviene per gradi salendo dal particolare all’universale, dall’analisi alla sintesi, dalla tenebra alla luce. Ne risulta pertanto che l’esercizio della comprensione delle allegorie di ordine spirituale consiste in un progressivo ampliamento della coscienza, che dipartendosi dai particolari eventi, per fasi sempre più ampie, si fonde nell’universale, in virtù di una legge armonica. Cogliere tale “significato” universale è lo scopo finale della parabola. Il raggiungimento del Sommo Bene consiste appunto nella contemplazione dell’Idea eterna. Tale è l’insegnamento fondamentale dello yoga indiano, pitagorico e platonico che troviamo espresso negli stessi termini nell’Antico e Nuovo Testamento, nei Padri della Chiesa, nei poeti mistici e negli ordini contemplativi della Chiesa Cristiana.
Nel Vangelo si attribuisce una vitale importanza alla comprensione del significato delle parabole, nelle quali sono velati i Misteri del Regno dei cieli. Infatti Matteo (13/35), riportando erroneamente un passo del Salmo di Davide (78/2), attribuisce a Gesù la seguente affermazione: “Aprirò in parabole la mia bocca ed esporrò cose occulte fino dalla fondazione del mondo…” e attribuisce un’efficacia salvifica alla comprensione delle parabole stesse perché dice: “… a voi è concesso di conoscere i Misteri del Regno dei cieli…” (Matteo, 13/XI), mentre ai profani non è concessa tale comprensione per tre ragioni: 1. il loro cuore si è fatto insensibile, 2. sono divenuti duri d’orecchio, 3. hanno chiuso gli occhi; perciò non “vedono” con gli occhi, non “odono” con le orecchie, non “sentono” con il cuore.
Affinché la “comprensione” abbia efficacia salvifica, cioè che trasporti la coscienza dall’aspetto mortale delle cose a quello immortale, è necessario che si abbiano i requisiti: 1. della sensibilità del cuore, 2. della percezione delle orecchie, 3. della visione degli occhi; da cui ne segue la “conversione” (o metànoia) e da questa il “salvamento” o la contemplazione dell’eterno.
Generalmente si abusa troppo attribuendo significati esoterici od occulti alle Scritture, senza conoscere ed applicare precisi criteri che rendano attendibile l’interpretazione. Si considerano cioè arbitrariamente le parabole come fossero delle allegorie, sineddoche o metonimie, mentre la stessa frase può assumere significati molto diversi a seconda del criterio esegetico applicato.
Per quanto riguarda le Scritture cristiane si dispone di una complessa disciplina chiamata “ermeneutica” (dal greco “hermeneutiche” = arte di interpretare, da Hermes = Mercurio) che distingue essenzialmente due aspetti: 1. il senso di una frase o ciò che si vuole attribuire; e 2. il significato di una frase o ciò che la parola esprime. A sua volta il senso scritturistico può essere: 1. letterale, cioè consistente nel significato esatto delle parole; o 2. reale o mistico in cui per mezzo della descrizione di persone, cose ed eventi si vuole significare il tipo di fatti ai quali si vuole alludere.
Vi sono infine due rami distinti e complementari dell’ermeneutica e cioè quello razionale e quello dogmatico. Nell’ermeneutica razionale si studia l’aspetto umano del testo che per essere inteso rettamente deve essere sottoposto a quattro distinti esami e cioè: filologico, stilistico, logico e storico. In altri termini: 1. le locuzioni devono essere intese nel significato o nel modo di parlare del tempo in cui furono scritte; 2. lo stile poetico o prosastico con le peculiari leggi di espressione; 3. il senso logico, non paradossale o diverso dal senso d’insieme; ed infine 4. l’ambiente ed il momento storico che ha dato origine alla narrazione. L’ermeneutica dogmatica inoltre ritiene che il testo sacro sia stato compilato sotto l’ispirazione divina e pertanto inerrante20.
Leggendo il testo del Vangelo in una lingua moderna ci sembra di capire il significato delle frasi, sulle quali poi si fanno dei ricami interpretativi del tutto arbitrari. Un’immensa letteratura si è formata negli ultimi due secoli sull’ermeneutica testamentaria, ma siamo ancora ben lontani dalla scoperta del significato preciso dei testi. Gli studiosi moderni sono però ormai d’accordo nell’affermare che Gesù parlava in aramaico e che doveva esistere un testo scritto od orale, ormai perduto, contenente i Suoi insegnamenti, al quale si sarebbero ispirati gli autori successivi che ci tramandarono in greco soltanto notizie frammentarie in diverse redazioni e con numerose interpolazioni. Il problema delle origini cristiane è perciò tutt’altro che risolto, malgrado le cospicue scoperte di manoscritti nelle grotte di Qumram presso il Mar Morto. Il confronto delle diverse narrazioni contenute nei Vangeli, la diversità delle versioni ci permette di rintracciare talvolta il significato originale aramaico e così ricostruire le frasi attribuite a Gesù in modo da ricavarne un significato più completo. “Le divergenze riscontrate nei Sinottici derivano dal fatto che furono letteralmente male tradotti in greco…”21. Così per esempio i dizionari del greco antico ci riportano oltre al significato delle parole intese in senso classico anche l’uso delle stesse nel senso neotestamentario, ovviamente perché le parole subirono una lenta evoluzione acquistando nuove sfumature che però ci permettono ancora di riconoscere il loro significato antico.
Troviamo spesso nei Vangeli delle frasi che sembrano enigmatiche e potrebbero nascondere significati occulti, ma da un esame più approfondito, risultano più spesso dovuti a errori di traduzione, perché la versione italiana, fatta dal greco, senza tenere conto del pensiero sottinteso, pensato in ebraico o in aramaico, ovviamente non può rendere l’esatto significato. Un grande orientalista italiano, Primo Vanutelli, ha cercato di risolvere il problema delle divergenze dei Sinottici con l’analisi dei testi paralleli ed ha dimostrato appunto come le varie versioni degli stessi fatti ci riportano ad un originale semitico che più non esiste22.
Uno dei maggiori esegeti moderni, Paul Vulliaud dice esplicitamente che “… il Cristianesimo è sorto in un’atmosfera impregnata di Teosofia e tutto indica che il quarto Vangelo è una confutazione, in stile gnostico, della gnosi anticristiana… benché compilato in greco, è pensato rabbinicamente ed è costruito con un procedimento simbolico familiare ai cabalisti. Questo simbolismo corrisponde però a formule ebraiche e non aramaiche di cui le chiavi principali sono: ‘ha-pesah’ = 153, ‘nabi-maleq’ = 153, ‘cohen ha-gadol jehouda’ = 153. Tale esoterismo adottato per un’opera di alta iniziazione è consono al procedimento letterario dello stesso autore al quale si attribuisce il libro che si rivolge direttamente agli iniziati e cioè l’Apocalisse… così il quarto Vangelo deve essere letto, per poterlo comprendere più intimamente… nel dialetto semitico. Le parole greche del quarto Vangelo nascondono termini semitici ed è questa trasparenza dell’espressione greca che ha permesso ai nostri studiosi di supporre che il testo che ci è pervenuto è una traduzione di un originale aramaico, ma questo originale aramaico è stato solo pensato e il suo linguaggio greco non è una traduzione greca, bensì un testo greco di genio semitico… ed è il più semitico di tutti gli Evangeli…”23.
Lo stesso autore ricorda che “gli Evangeli in effetti sono un’opera ebraica nell’uso dei termini, nelle formule, nella fraseologia, nelle massime, nei proverbi, nelle parabole, nella descrizione di usi e costumi ed è l’opera più emozionante che il genio semitico avesse mai prodotto…”24.
Esamineremo più tardi alcuni casi di versioni che ci permetteranno di comprendere con maggiore approssimazione certi insegnamenti del Vangelo.
Per
comprendere il Nuovo Testamento alla luce de
H.P. Blavatsky afferma che “… il Nuovo Testamento, gli Atti e le Epistole — per quanto molto della figura storica di Gesù possa essere vero — tutti sono simbolici ed allegorici e che non era Gesù, ma Paolo il vero fondatore del Cristianesimo… i discepoli vennero chiamati ‘cristiani’ per la prima volta ad Antiochia. Gli Atti degli Apostoli infatti narrano (11/26) che non venivano chiamati così prima… ma semplicemente ‘nazareni’…”25. H.P. Blavatsky afferma inoltre che Paolo era indubbiamente un iniziato26 e nell’Iside Svelata leggiamo: “… del poco di originale che ci è rimasto… nessuno può dimostrare che Paolo intendesse con la parola Cristo qualcosa di diverso dall’Ideale astratto della divinità personale dimorante nell’uomo. Per Paolo, il Cristo non è una persona, ma un’Idea incarnata…”27. Infatti egli dice: “… se qualcuno è in Cristo, diviene una nuova creazione… è rinato come dopo la iniziazione, perché il Signore è lo spirito — lo spirito nell’uomo. Paolo era l’unico degli apostoli che ha compreso le idee segrete sottintese negli insegnamenti di Gesù, per quanto egli non lo avesse mai incontrato… era teso ad insegnare una nuova ed ampia riforma che abbracciasse tutta l’umanità, egli pose le sue dottrine molto al di sopra della saggezza del secoli, al di sopra degli antichi misteri ed alla finale rivelazione degli epopti…”28.
“I
primitivi Nazareni o Crestiani, come Giustino Martire li chiamava, erano
seguaci di Gesù, il vero Chrestos o Cristo dell’iniziazione…29, mentre i
Nazareni, i quali, benché esistessero molto prima dei tempi di Cristo ed anche
prima delle leggi di Mosé, erano gnostici e molti di essi furono iniziati. Essi
celebravano i loro Misteri di vita a Nazara (antica e moderna Nazareth) e le
loro dottrine erano una fedele eco degli insegnamenti de
Per inciso ricordiamo che sulla parola stessa “Nazaret” e “nazareno” si fecero lunghissime ricerche perché connessa con Gesù, ma è risaputo che il nome di questa cittadina non appare né nella Bibbia, né nella letteratura talmudica, né in Giuseppe Flavio, né negli scritti di alcun autore di quei tempi e neppure nell’elenco egiziano dei nomi delle località della Palestina e della Siria. I mitologi ne trassero argomento per concludere che il Cristo era un mito. Secondo l’assiriologo Zimmern invece, la radice della parola “naçor” non ha il significato di “mantenere l’osservanza” che si applicava ai cristiani, bensì a “custodire i Misteri” perché in effetti il termine “niçirtu” in babilonese significa “Mistero”31.
Vediamo
quindi come
Secondo H.P. Blavatsky dunque il Verbo o il Logos del Vangelo si identifica nello Ishvara degli indù o nello Avalokiteshvara dei buddhisti. Ricordiamo che Ishvara (in sanscrito = Signore) è l’Essere supremo dal quale derivano le individualità ed è il centro immutabile di coscienza che esiste in seno all’Esistenza Unica, il Logos solare, lo Spirito cosmico o Atman33. Come sappiamo Atman (letteralmente = soffio) è il più elevato dei sette principi dell’uomo, il Sé supremo su tutti i piani della natura e corrisponde al piano del Nirvana, cioè della vita dello spirito sul suo proprio piano34.
D’altra parte Avalokiteshvara (il Signore che guarda dall’alto) presso i buddhisti del nord, rappresenta appunto il Logos manifesto o Ishvara il Secondo Logos o Padmapani (il Cristo nell’uomo cioè colui che reca il fiore di loto) di cui l’equivalente tibetano è Cherenzi o Chantong. Il principio dello Avalokiteshvara, che si riteneva esistesse soltanto nelle dottrine buddhiste del nord, H.P. Blavatsky lo identifica invece nel Cristo della tradizione gnostica e cristiana. Infatti essa precisa inoltre: “Il sole sta ad indicare il Logos (Cristo od Horus) come un’essenza centrale in sintesi e come essenza diffusa di entità emanate, diverse per sostanza, ma non per essenza…”35.
Dalla Teosofia sappiamo quindi che Atma, spirito universale ed individuale allo stesso tempo, corrisponde al piano nirvanico, la realizzazione del quale costituisce la mèta suprema dell’evoluzione, che in termini cristiani consiste nella identificazione in Cristo. Infatti H.P. Blavatsky afferma: “… il Cristo è la vera essenza impersonale della divinità… il nostro Atma…”36.
“Per mezzo di questa Luce ogni cosa fu creata. Quest’è la radice del Sé mentale, come pure del Sé fisico, perché questa Luce è la permutazione di Mulaprakriti nel nostro mondo manifesto…”39.
Con questa
spiegazione de
“In
principio era il Verbo (cioè Logos =
e il Verbo era presso Dio,
e il Verbo era Dio…
per mezzo di esso (della Ragione suprema) furono fatte tutte le cose,
e senza di esso nulla fu fatto di ciò ch’è stato fatto.
In esso era
e
e
e le tenebre non la compresero…”40.
Nel testo
italiano del Vangelo viene reso con la parola “Verbo”, il termine
greco “Logos”, che ha numerosi significati ed è intraducibile con una
parola italiana equivalente, ma il significato più prossimo è quello di “Ragione”
o “discorso ragionato”, mentre nel significato neotestamentario indica
Gesù, il Salvatore41. Gli gnostici infatti intendevano con questo
termine il principio razionale o vitale, ordinatore del cosmo e dell’uomo, cioè
il Cristo,
H.P. Blavatsky prosegue a dire: “… considerato alla Luce del Logos, cioè del Salvatore cristiano, come Krishna, sia che si tratti di un Uomo o del Logos stesso, si può affermare che effettivamente, egli ha salvato dalla ‘morte eterna’ coloro che hanno creduto negli insegnamenti segreti e conquistato il regno delle tenebre o dell’inferno, come fa ogni iniziato. Quest’è la forma terrestre o umana degli iniziati ed anche perché il Logos è il Cristo… cioè quel principio della nostra natura interiore che si sviluppa in noi nell’Ego spirituale — Sé superiore, formando un’indissolubile unione di buddhi, il sesto principio con l’efflorescenza del Manas o quinto principio…”42.
Altrove
ancora H.P. Blavatsky ribadisce ne
I teosofi forse comprenderanno il significato di questa dottrina ricordando che H.P. Blavatsky dice: “… per raggiungere lo stato cristico cioè quello di un ‘jivanmukta’… dobbiamo concentrarci interamente nel nostro principio più elevato, cioè nel settimo…”44.
In sanscrito s’intende per “jivanmukta” l’adepto completamente liberato dalla materia e arrivato al più alto livello della beatitudine cioè del Nirvana45.
Si riteneva che il Cristianesimo non avesse una dottrina equivalente al Nirvana dei buddhisti, ma in realtà, come dice H.P. Blavatsky, essa consiste nel raggiungimento dello stato cristico e tale fatto risulta più evidente dalla spiegazione che H.P. Blavatsky ci offre del significato della parola ebraica “shabbath”, che costituisce il fulcro dell’ascetica e mistica francescana.
H.P. Blavatsky spiega: “Shabbath significa ‘quiete’ o Nirvana. Non è il settimo giorno dopo i sei, bensì un periodo di durata uguale ai ‘sette giorni’ o periodi, come un Pralaya che ha la durata… pari ad un Manvantara o Notte di Brahma con la durata uguale al suo ‘giorno’… la parola ‘shabbath’ ha un significato mistico che viene svelato da Gesù…”46. L’evangelista Luca47 parlando del fariseo nel tempio, gli fa dire: “… io digiuno due volte la settimana…”, ma il testo greco, latino e la ricostruzione ebraica, dicono invece “… due volte di sabato…” ciò che non avrebbe senso. Per gli ebrei il “sabato” era inteso come giorno di festa, non di digiuno. H.P. Blavatsky infatti spiega: “San Paolo, un iniziato, sapeva bene quando si riferiva alla quiete eterna ed alla felicità celeste, come ad un ‘shabbath’…”48. La citazione riportata da H.P. Blavatsky non è testuale del Vangelo approvato, ma riassunta dice: “… e la loro felicità sarà eterna perché saranno uno con il Signore e godranno un ‘shabbath’ eterno…”49.
Infatti in ebraico la parola “shabbath” significa “cessazione” o “quiete”. Misticamente allude al Nirvana, cioè alla cessazione del Manvantara attivo universale e individuale, la fine dell’attività esteriore di Dio ed il riassorbimento nell’eterno. Il concetto cristiano della Pace è appunto affine allo stato del Nirvana dei buddhisti.
Esposto
succintamente il concetto di Cristo come troviamo riportato ne
Secondo H.P. Blavatsky “… tutti gli ‘avatara’ sono una sola cosa: figli del Padre… ‘karanatma’ o anima causale che nel suo senso generale viene chiamato dagli indù con il nome di Ishvara e dai cristiani con il nome di Dio…”51 ch’è personale ed impersonale allo stesso tempo.
Leggiamo
ne
Vediamo ora brevemente quali erano gli insegnamenti occulti di Gesù, i Misteri del Regno dei Cieli, dei quali parlano gli Evangeli e che costituiscono la base del Messaggio Cristiano.
Dobbiamo premettere che all’inizio della civiltà umana non esistevano i Misteri perché la conoscenza era comune proprietà del popolo ed era universalmente conosciuta, ma quando “… l’umanità rapidamente aumentò di numero, aumentarono pure le varietà delle idiosincrasie del corpo e della mente, allora lo spirito incarnato dimostrò la sua debolezza. Le esagerazioni naturali e con queste le superstizioni, sorsero tra le menti meno colte e sane. Nacque l’egoismo dai desideri e dalle passioni fino allora sconosciuti e troppo spesso si abusava della conoscenza e della potenza, fino a quando divenne necessario limitare il numero di coloro che sapevano. Così sorse l’Iniziazione”54. H.P. Blavatsky soggiunge ancora che “… i nobili precetti insegnati dagli iniziati delle prime razze umane, passarono nell’India, Egitto, Grecia, Cina e nella Caldea… tutto quello che vi era di buono, nobile ed elevato nella natura umana, ogni facoltà divina e ogni aspirazione, venivano coltivate dai sacerdoti-filosofi che cercavano di sviluppare tali facoltà nei loro iniziati…”55.
H.P. Blavatsky dimostra come la conoscenza impartita nei Misteri fu tramandata attraverso i secoli per mezzo di sacerdoti, i quali derivarono i loro poteri per successione dagli iniziati della grande Atlantide… “il puro culto della natura divenne l’eredità di coloro che potevano discernere il ‘noumeno’ nel ‘fenomeno’. In seguito gli iniziati trasmisero la loro conoscenza ai re umani e ai divini Maestri…”56.
Il segreto
dei Misteri consisteva nella tecnica per liberare il Sé per mezzo della
conoscenza e questa tecnica viene descritta allegoricamente nelle prove che
deve sostenere il candidato per giungere all’apoteosi.
Ricorda ancora H.P. Blavatsky che “disgraziatamente i grandi Misteri perdettero gradualmente la loro primitiva grandezza e solennità. I riti caddero in oblio e in gran parte degenerarono nelle speculazioni, diventando semplici imitazioni religiose…”57. Tuttavia in qualche luogo segreto i Misteri vengono ancora praticati nella loro primitiva purezza… “ma i veri Misteri non furono mai resi di pubblico dominio…”58. Questi Misteri troviamo però adombrati nei Vangeli.
I Vangeli sono una compilazione composita dove la biografia di Gesù storico viene inquadrata nello schema del rituale iniziatico delle cinque fasi di sviluppo o iniziazioni attribuite a Gesù e cioè: 1. la nascita, 2. il battesimo, 3. la trasfigurazione, 4. la crocifissione e 5. l’ascensione o il raggiungimento dell’adeptato. Questo rituale raffigura la storia del progresso tanto dell’umanità nel suo insieme come di ogni singolo individuo e trova nella vita di Gesù il riflesso della propria esperienza.
Per
non entrare in troppi particolari, ricordiamo che la nascita prodigiosa di
Gesù, come descritta nei Vangeli, specialmente nel suo sviluppo
genealogico, dimostra lo sviluppo progressivo dei requisiti che sfociano nella “nascita”
del Salvatore in noi. Basti ricordare che Matteo59 riporta 42 nomi
di “ascendenti” di Gesù, mentre Luca60 ne riporta 72, dove
soltanto due nomi coincidono. Tale enigma è stato variamente interpretato, ma
in modo poco convincente. Se invece teniamo conto del significato cabalistico
ed etimologico dei nomi, troviamo che la genealogia può rappresentare le
condizioni od i requisiti per la “nascita” del salvatore (Gesù)
nell’uomo. Infatti
La seconda iniziazione o “il battesimo nel Giordano è il rito della purificazione finale, sia che venisse praticato in una pagoda sacra, in uno specchio d’acqua, in un fiume o in un lago del tempio in Egitto o nel Messico. Il Cristo perfetto e Sophia — la divina saggezza e intelligenza — entravano nell’iniziato in quel momento del rito mistico, trasferendosi dal ‘guru’ al ‘chela’ e abbandonavano il corpo fisico al momento della morte di quest’ultimo, per rientrare nel Nirmanakaya o nell’Ego astrale dell’adepto…”63.
La trasfigurazione costituisce il terzo grado dell’iniziazione in cui al candidato veniva impartita la conoscenza del vero sviluppo dell’umanità. Infatti H.P. Blavatsky nell’Iside Svelata64 dice: “La dottrina dei Pitri planetari e terrestri veniva rivelata interamente nell’antica India ed anche attualmente, soltanto all’ultimo momento dell’iniziazione, agli adepti dei gradi superiori…” e precisa più oltre: “… il ‘chela’ del terzo grado della iniziazione ha due ‘guru’: uno è un adepto vivente e il secondo è un ‘mahatma’ disincarnato e glorificato, che è un consigliere e istruttore anche di adepti più elevati…”65. Matteo, Marco e Luca descrivono la scena della trasfigurazione di Gesù con l’apparizione di due personaggi e cioè Mosè ed Elia66. Queste iniziazioni avvenivano, dice H.P. Blavatsky, su una montagna — “… sull’Himalaya, sul Parnaso, sul Sinai. Questi erano luoghi d’iniziazione e dimore dei capi della comunità di adepti antichi e moderni…”67.
Tutti e
tre i Sinottici descrivono
Riguardo alla quarta iniziazione o Crocifissione H.P. Blavatsky ampiamente riferisce sul relativo rito praticato nell’antico Egitto in questi termini: “Al tempo dei Misteri dell’iniziazione, il candidato che rappresentava il Dio solare doveva scendere nel sarcofago ed entrare nel grembo fecondo della terra, uscendone al mattino successivo per rappresentare la resurrezione della vita dopo la mutazione chiamata morte. Nei grandi Misteri questa morte figurata durava due giorni, fino al sorgere del terzo mattino, dopo l’ultima notte di crudelissime prove…”69.
Il rito consisteva nella immobilizzazione del candidato su un letto di torture formato a guisa di croce di cui H.P. Blavatsky dice: “Pochi simboli mondiali sono così pregni di vero significato occulto come quello della croce uncinata (‘svastika’) che simboleggia il numero 6. Come questo numero essa indica nella sua rappresentazione concreta, come l’ideogramma del numero, lo zenith e il nadir, il nord e il sud, l’oriente e l’occidente. Vi si trova l’unità ovunque e riflessa in tutto. Essa è l’emblema del Fohat o della continua rivoluzione della ruota e dei quattro elementi, i sacri quattro nel loro significato mistico e non solo cosmico. Inoltre le sue quattro braccia ad angolo retto sono in stretta relazione con la bilancia pitagorica ed ermetica. Chi è iniziato nei Misteri del significato della ‘svastika’… può ritrovarvi, con matematica precisione, l’evoluzione del cosmo e tutto il periodo ‘sandhya’ (cioè la fine di un ‘yuga’) come pure la relazione tra il visibile e l’invisibile, e la prima procreazione dell’uomo e delle specie…”70.
Per inciso ricordiamo che la neurologia moderna ha scoperto che la totale immobilizzazione del corpo umano, in senso orizzontale, determina dopo qualche tempo fenomeni allucinatori dello sdoppiamento della persona come narra Jack London nel suo romanzo Il Vagabondo delle Stelle, quando gli fu applicata la camicia di forza.
Tutto ciò si narra appunto di Gesù nei Vangeli in relazione alla Sua crocifissione, deposizione nel sepolcro e la resurrezione il terzo giorno71.
La quinta e l’ultima fase evolutiva è
rappresentata nei Vangeli dall’Ascensione di Gesù narrata soltanto da
Marco e da Luca72 ed ampiamente dibattuta ne
Uno degli insegnamenti fondamentali del Cristianesimo è la espiazione vicaria che nella sua esposizione letterale smentirebbe la legge del karma, ma proprio questo punto, come altri analoghi luoghi difficili, nasconde il Mistero che con l’aiuto della Teosofia possiamo comprendere.
La
espiazione vicaria e la missione essenziale di Gesù si spiegano ricordando che
Gesù (jehoshuah) o Salvatore, in ogni uomo è il simbolo del buddhi-manas o
dell’Ego che continuamente si reincarna, assumendo nuovi corpi e pertanto per
espiare gli errori commessi in uno qualsiasi dei suoi corpi, è responsabile il
relativo Ego, rappresentato appunto dal nome di Gesù = Salvatore. A questo
proposito H.P. Blavatsky precisa ne
Il rapporto tra la monade umana e quella divina è indissolubile ed era nota a tutti gli iniziati di tutti i tempi e luoghi. Gesù infatti dice nei Vangeli: “Io e il Padre mio siamo Uno”75 e altrove: “Io ascendo al Padre mio e Padre vostro”76, però altrove precisa: “Mio Padre è maggiore di me”77 e ancora: “Glorificate il vostro Padre che è nei cieli”78. Lo stesso concetto riporta Paolo quando dice: “Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo spirito di Dio dimora in voi?”79.
Tutte queste citazioni precisano che lo spirito dell’uomo, benché affine allo spirito divino, è indissolubilmente legato al medesimo, tuttavia distinto da esso.
Premesso quanto già detto, che i Vangeli costituiscono una biografia di Gesù storico inquadrata nello schema del rituale iniziatico, in cui furono omessi tutti i particolari personali irrilevanti rispetto allo schema stesso, veniamo alla conclusione che ogni particolare dei Vangeli ha un significato occulto, universale, che dobbiamo cercare di decifrare. Questo lavoro però offre delle difficoltà quasi insormontabili perché i testi reperibili nelle varie lingue moderne non permettono di comprendere l’esatto significato delle frasi, perciò ci viene in aiuto la scienza profana e in particolare la filologia e l’archeologia delle lingue semitiche per accertare almeno il significato letterale dei testi.
Il testo più antico del Vangelo che si conosca risale al IV o V secolo d.C. ed è scritto in greco. Per molto tempo si è creduto che i Vangeli fossero stati compilati originalmente in greco popolare detto “koiné”, ma ormai si dimostra che doveva esistere un testo aramaico, forse orale, ormai perduto, al quale si sono ispirati gli autori posteriori.
Se le difficoltà di tradurre da una lingua moderna in un’altra lingua sono notevoli, si può affermare che è del tutto impossibile tradurre correttamente un testo da una lingua orientale antica in una lingua moderna occidentale, perché in originale i vocaboli e modi di dire hanno una serie di significati sinonimi che non trovano corrispondenza nei vocaboli di altre lingue, anche trascurando il valore cabalistico, la ritmica mistica particolare, ecc. che possono avere anche dei significati sostanziali agli effetti di una esatta esegesi. A ciò sono dovute le numerose versioni dei testi antichi, tutte ugualmente imperfette, per non dire errate o unilaterali.
Per soffermarsi
soltanto su alcuni aspetti redazionali dei Vangeli, ricordiamo che: gli Evangeli
canonici sono 4; a Gesù si attribuiscono 40 parabole e 40 miracoli, Egli
digiunò nel deserto 40 giorni,
La critica razionalistica sospetta perciò che i Vangeli siano stati compilati in base ad uno schema cabalistico e non già come si crede, a guisa di una semplice narrazione di fatti. Tale sospetto si accresce quando riscontriamo nel testo una sequenza ritmica, inammissibile in una biografia, perché richiede una costruzione artificiosa, identica a quella che troviamo nei discorsi di Gautamo Buddha, nel Libro Egiziano dei Morti, ecc. Questo fatto è stato evidenziato dal cabalista cristiano Shoettgen due secoli addietro, constatando che il metodo di graduare l’insegnamento viene applicato nei Vangeli in modo sistematico. Il metodo consiste nella particolare ritmica della poetica ebraica in cui un concetto della prima frase viene ripreso nella seconda frase e il concetto dipendente da questa, viene ripreso nella terza frase, e così via, sia usando termini diversi per esprimere lo stesso concetto, sia sostituendo a parole diverse un’altra parola equivalente che esprime lo stesso concetto. Due studiosi inglesi hanno dimostrato che tale criterio è stato applicato nella compilazione del Vangelo e in particolare nelle frasi attribuite a Gesù. Ecco qualche esempio:
“Chi riceve voi, riceve me,
e chi riceve me, riceve colui che mi ha inviato.
Chi riceve un profeta, in nome del profeta,
riceve la ricompensa da un profeta…”80.
L’esempio classico di questo sistema di periodare lo troviamo nelle prime righe del Vangelo di Giovanni, dove si nota una particolare struttura logica delle frasi, corrispondente a requisiti mnemonici e formativi della mente umana, attualmente applicati dalla cibernetica.
A proposito del passo evangelico citato si deve ricordare che la radice triliettera “kbl” significa nello stesso tempo “ricevere” e “ascoltare”. Come in italiano “ascoltare”, in senso popolare, significa anche “ubbidire”. Quindi “ricevere” un profeta significa accettare i suoi insegnamenti.
A titolo di esempio presentiamo alcuni luoghi comuni dei Vangeli che tutti ricordiamo e che sembrano avere un significato enigmatico, ma in realtà presuppongono la conoscenza della tradizione occulta.
Il
messaggio essenziale del Vangelo è quello del “pentimento”, ma in
ebraico “pentirsi” ha il significato di “ritornare” (teschubah)
alla sorgente delle acque.
La maggior parte delle locuzioni testamentarie non è neppure intelligibile al comune lettore che non conosce l’ermeneutica razionale. Così per esempio troviamo in Matteo che riporta l’annunciazione a Maria: “… gli porrai il nome di Gesù perché egli libererà il suo popolo dai peccati…”. Salvo che in ebraico non vi è alcun rapporto tra il nome di Gesù e “salverà”, non risulta neppure dal contesto, ma diviene evidente quando si apprende che in ebraico “jeshuah” (salvatore) è una forma contratta della locuzione “jeo shuah” cioè colui per mezzo del quale Dio dona la salvezza. Matteo continua a dire: “… lo chiameremo per nome Emanuele…” perché in ebraico Immanuel significa “Dio con noi”, in noi o meglio la forza interiore. Il salvatore è quindi la nostra forza interiore divina o il Sé superiore.
Un passo spesso citato e male inteso è anche quello che troviamo in due versioni diverse dove Gesù dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”81 e “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste”, ovviamente Gesù avrà usato la parola “chasid” che in aramaico ha questi due sinonimi. Infine l’imperativo “siate” secondo il massimo ebraista Grotius, ha una forma identica anche per il futuro semplice e perciò si può tradurre “sarete perfetti o misericordiosi…”.
Troviamo spesso tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento l’espressione “profetare” come per esempio “… e Zaccaria profetò dicendo…”82. Profetare in ebraico significa semplicemente recitare un cantico e non già predire eventi futuri.
L’episodio del ritiro di Gesù nel deserto, narrato da Marco e da Luca83 presenta pure delle difformità dove si dice che Gesù nel “deserto” ebbe “fame” e vi si trovava in compagnia di “demoni”, “bestie” e “angeli”. La confusione è spiegabile quando si ricorda che “bestie selvagge” in ebraico si dice “tsiim”, ma questa stessa parola significa pure “apparizioni” e “demoni”. D’altra parte una parola analoga e cioè “tsum” significa “aver fame”. Dato che nelle lingue semitiche si trascurano le vocali, la versione contraddittoria è spiegabile (cfr. Mc 1/13, Mt 4/1-2, Lc 4/1-2).
Per quanto riguarda il ritiro di Gesù nel “deserto” si deve ricordare che in ebraico “midbar” significa tanto “deserto” quanto “montagna”. Infatti troviamo che Matteo84 e Luca85 danno due versioni diverse della stessa similitudine. Il primo dice: “Se un uomo ha cento pecore e ne perde una, ne lascia 99 sulla montagna…” il secondo dice invece: “… lascia 99 nel deserto…”. Per “deserto” gli ebrei intendevano le colline incolte destinate al pascolo. Così Matteo86 narra che “Battista andò a predicare nel deserto…” dove ovviamente non doveva esserci nessuno, invece c’erano i pastori con le loro greggi.
Un’altra locuzione abbastanza frequente è quella che dice: “Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci”. Ricostruendo la frase in aramaico troviamo che le “cose sante” sono “kudeshin” cioè la carne degli olocausti, perché essendo stata dedicata alla divinità era ritenuta sacra, mentre le “perle” sono “kodashin” od ornamenti. Gli antichi ebrei consideravano gli ornamenti come oggetti magici, atti a proteggere chi li portava. Non si trattava quindi di perle, ma di talismani. Bisogna ricordare ancora che “k’dasha” significa anello e nella terminologia rabbinica allude alla “Thorà”. I “porci” non sono intesi in senso spregiativo, ma nel senso di profani. Infatti la stessa radice indica diversi significati, così “hasirah” significa porci e “hasorah” i vicini (cfr. Mc 5/16, Lc 8/37).
Un modo caratteristico di esprimersi che ha avuto un immenso sviluppo troviamo in Matteo87 dove Gesù rivolgendosi a Pietro, gli dice: “… non è la carne ed il sangue che ti hanno rivelato ciò, ma il Padre mio ch’è nel cielo…”. L’espressione “carne e sangue” (“basar wadam”) significa semplicemente “uomo”. La parola “uomo” infatti per sineddoche si diceva “basar” cioè “carne”. Nel passo “carne e sangue” si ha un’espressione metaforica per indicare gli scribi. Tale interpretazione è giustificata dal fatto che gli ebrei stessi se ne servivano per designare cripticamente anche i cristiani.
Nei versetti di Matteo88 e di Luca89 si parla della stessa cosa pur con parole diverse. Il primo dice: “… rimettici i nostri debiti…” ed il secondo: “… rimettici i nostri peccati…”, ma in ebraico la parola “hub” significa tanto “debiti” quanto “peccati”. Gli autori delle due versioni greche scelsero due sinonimi ebraici che non sono sinonimi in greco o nelle altre lingue. Per gli ebrei i debiti sono intesi come peccati.
Ricostruendo il testo dei Vangeli nella lingua che Gesù parlava e nella quale fu composto l’originale al quale si ispirarono tutti gli autori posteriori, riusciamo a cogliere un significato intimo che sfugge completamente a chi legge nelle varie versioni sia pure commentate. Lo schema del Rituale iniziatico sottinteso in dette Scritture però fa un profondo richiamo alla percezione interiore e perciò le Scritture costituiscono un mistero storico, lessicale e religioso che fa appello alla coscienza dell’umanità perché si richiama a qualcosa di non rivelato integralmente, che lascia larghi margini al soprarazionale che deve essere scoperto individualmente. Tutto è volutamente enigmatico, contraddittorio, paradossale. Le verità profonde per essere vitali devono essere comprese e intuite individualmente; in tale comprensione consiste la realizzazione del regno di Dio e cioè nello sviluppo dell’intuizione, come facoltà esercitata dal Sé superiore, che non deve essere ridotta al livello della mente concreta, la quale non può mai rendere la verità completa. Il vero significato esoterico di una verità occulta perciò non può essere comunicato ai profani.
Che il significato delle Scritture debba essere inteso in modo diverso da quello letterale troviamo confermato da molti autori. Così Clemente di Alessandria, che era stato iniziato nei Misteri di Eleusi, dice: “Le dottrine ivi insegnate e lo scopo delle istruzioni furono ripresi da Mosè e dai Profeti… ma siccome questa tradizione è stata resa pubblica… era stato necessario nascondere in un Mistero la saggezza che insegnò il figliuolo dell’uomo…”90.
Che tale significato occulto esistesse troviamo confermato pure tra molti altri anche da Maimonide il quale dice: “Chiunque scopra il vero significato del ‘Genesi’ deve avere cura di non divulgarlo. Questa è una massima che tutti i nostri saggi ci ripetono e in particolare per quanto riguarda l’opera dei sei giorni. Se qualcuno scopre il vero significato da sé o con l’aiuto di qualcuno deve conservare il silenzio e se ne parla, deve farlo oscuramente, in modo enigmatico, come faccio io, lasciando che il resto venga indovinato da coloro che possono comprendere…” (cfr. A. Cohen: The Teachings of Maimonides, New York, 1927).
H.P. Blavatsky commenta dicendo che “queste parole dimostrano che i Misteri degli ebrei sono identici a quelli dei greci che a loro volta li ricevettero dagli egizi e questi li presero dai caldei, i quali a loro volta, li ebbero dagli ariani atlantidei e così via…”91.
Tali Misteri incomunicabili si trovano pure nei Vangeli, infatti Gesù rivolgendosi ai discepoli disse loro: “A voi è dato di conoscere il Mistero del regno di Dio, ma a coloro che non hanno tutte queste cose (ci domandiamo quali?) viene dato in parabole che vedendo non possano vedere, ascoltando non possano comprendere e non si convertano e che i loro peccati non vengano rimossi…”92.
H.P. Blavatsky a proposito di questo passo dice: “A meno che ciò non venga interpretato nel senso della legge del silenzio e del karma, dell’egoismo e della mancanza di carità, questa osservazione è fin troppo evidente. Queste parole sono direttamente connesse con il terribile dogma della predestinazione… l’opera di diffondere tali verità in parabole veniva lasciata ai discepoli degli iniziati elevati ed era loro dovere di usare la chiave dell’insegnamento segreto, senza mai rivelare i suoi misteri…”93.
Bisogna
ricordare che con la parola Misteri
Forse possiamo azzardare qualche interpretazione dell’elemento centrale dell’insegnamento cristiano. Maimonide ammonisce di non svelare specialmente l’opera dei “sei giorni” e così pure Paolo parlando della mèta finale della evoluzione, la definisce come “shabbath” cioè il settimo giorno dopo i sei giorni o cicli “lavorativi”. Le Scuole mistiche cristiane hanno elaborato sistemi di integrazione spirituale altrettanto precisi come quelli dei sistemi yoga indiani. È risaputo che la tradizione pitagorica o platonica è stata trasfusa nel Cristianesimo occidentale per opera di sant’Agostino e tuttora vive presso gli ordini contemplativi specialmente d’ispirazione francescana.
Uno
dei testi più notevoli al quale ci riferiamo è Itinerarium Mentis in Deo
di Giovanni Fidanza, più noto come san Bonaventura, generale dell’Ordine
francescano. Nel proemio della sua opera egli dice: “Anch’io peccatore che,
dopo altri sei fratelli, indegnamente succedo nella direzione dell’Ordine al
beatissimo padre san Francesco, anch’io seguendo il suo esempio luminoso,
andavo cercando
Anche san Bonaventura, come Maimonide e tutti i Padri della Chiesa ammonisce: “… a nulla varrebbe questo specchio che io propongo se non fosse terso e pulito lo specchio della nostra mente… altrimenti la luce troppo intensa potrebbe abbagliarti e farti cadere nella profondità di un baratro tenebroso…”94.
San Bonaventura ricorda “… come Dio creò l’universo intero in sei giorni e al settimo si riposò” (noi diremo che entrò nel Nirvana o nel Pralaya), anche il piccolo mondo del nostro spirito, attraverso sei momenti successivi di progressiva illuminazione, pervenga al riposo della contemplazione mistica. Simboleggiano questo concetto i sei gradini per i quali si ascendeva al trono di Salomone, le sei ali dei Serafini visti da Isaia, i sei giorni dopo i quali Dio trasse Mosè di mezzo alla caligine e come scrive Matteo (17/1-2) Gesù “dopo sei giorni condusse i discepoli sul Monte e si trasfigurò dinanzi a loro…”.
Tutto ciò dimostra che tutto il Vangelo costituisce una parabola nella quale anche i vari episodi della vita storica di Gesù si fondono in un tutto organico del dramma mistico dell’ascesi. Perciò ricordiamo quanto l’insigne studioso Ch. Guigbert afferma cioè che “Per attenerci ad una formula molto generale, diremo che la parabola evangelica è il racconto di un avvenimento, reale o inventato, desunto dalla natura o dalla vita corrente e disposto in modo da suggerire una verità morale o religiosa. Si tratta quindi di un paragone che parte dall’immagine di un fatto, allo scopo di introdurre un’idea…”95. Cioè in altri termini, i dialoghi di Gesù, non solo ricordano la maieutica socratica, ma anche i modi delle locuzioni popolari ancora vivi in oriente.
Lo stesso autore ammonisce che “Bisogna badare a non confondere la parabola con l’allegoria e neppure si deve imporre alla parabola — cosa che non c’entra per nulla — una interpretazione allegorica… la parabola non è allegoria… il paragone parabolico è destinato a chiarire il pensiero di chi l’adopera, non a velarlo. Per cogliere la differenza basta confrontare le parabole sinottiche con le allegorie giovanee…”96. L’allegoria è invece una metafora per mezzo della quale s’intende una cosa diversa da quella che si dice97.
San Bonaventura applicando il metodo pitagorico-platonico, scoprì il significato recondito del Mistero della Trasfigurazione che Gesù ebbe sul Monte Hermon dopo i fatidici “sei giorni” e descrive il sistema, analogo al raja yoga indiano, per raggiungere l’integrazione spirituale con l’identificazione nel Supremo e ricorda che “… nella Scrittura è contenuto l’insegnamento che ci purifica, illumina e perfeziona e vi è contenuta la triplice legge: della natura, della rivelazione e della grazia e che… vi devono specialmente considerare in essa tre significati spirituali: il significato morale che rende onesta la vita, il significato allegorico che rende comprensibili le più ardue verità e il significato anagogico che perfeziona le anime addestrandole all’intuizione della sapienza ed ai rapimenti dell’estasi…” (ibid.).
Tale gradualità troviamo espressa da Gesù richiamandosi ad Isaia (6/9) e (Mt 13/14) quando dice delle turbe che non comprendevano il senso delle parabole. “1. il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, 2. sono divenuti duri d’orecchio, 3. hanno chiuso gli occhi. Perciò con gli occhi non vedono, con le orecchie non odono, con il cuore non intendono e perciò non possono convertirsi e di conseguenza non possono essere salvati”.
Non
dobbiamo però ritenere che si tratti di semplice retorica perché negli ordini
contemplativi, specialmente dell’oriente cristiano, perdura una tradizione
relativa alla tecnica dello yoga cristiano, ivi compresa una “… ascesi
corporea… in cui ogni attività psichica comporta una ripercussione somatica e
che inversamente, gli atteggiamenti ed i movimenti del corpo, possono favorire
ed anche provocare analoghi stati mentali… la psicofisiologia infatti ci ha
fatto sapere che ad ogni rappresentazione corrispondono sensazioni cenestesiche, attività
nervose e glandolari, una messa in tensione motrice caratteristica…” che in
definitiva stimola i “chakram” relativi (cfr. L’Esicasmo-Yoga
Cristiano, di A. Bloom, ed. Rocco, Napoli, p. 20-21).
Esiste una vasta letteratura mistico-occulta del cristianesimo e in particolare la “Filokalia” di un monaco russo che raccoglie quanto di meglio è stato prodotto dai mistici ortodossi nel giro di mille anni e dove sono indicati i sistemi della respirazione abbinati con particolari meditazioni che portano alla illuminazione interiore, come descrive san Bonaventura.
Infatti
egli dice: “Compiuta questa prima iniziazione, lo spirito è fatto scala alle
ascensioni supreme, allora esso si conforma a quella Gerusalemme celeste, nella
quale non è degno di entrare se non chi, con la grazia di Dio, l’abbia fatta
prima discendere nel suo cuore, come appunto vide Giovanni nell’Apocalisse.
Discende in noi
Lungo sarebbe soffermarci su ogni singolo passo dell’ascesi evangelica per dimostrare la sua perfetta identità con quella orientale, ma basti citare le parole conclusive della Teologia Mistica di Dionigi Aeropagita che dicono: “Tu poi, o amico, dopo esserti ben preparato per il mistico viaggio, abbandona i sensi ed i travagli del pensiero, tralascia gli oggetti sensibili ed i concetti astratti, l’essere e il non essere e per quanto ti riesca, dimentico di te, diventa una sola cosa con Colui, il quale è al di là di ogni essenza e di ogni scienza. Distaccato da ogni cosa e sciolto da ogni impaccio, librati al di sopra di te stesso e delle cose tutte e nella purità della mente sarai rapito nel mondo incommensurabile e assoluto dell’estasi e inebriato dallo splendore sovracelestiale dei divini misteri…”.
Esprimere però in parole quello che il mistico realizza è impossibile, come dice Dante: “… vidi cose che ridire né sa, né può chi di là sù discende”99.
Note:
1.
H.P. Blavatsky:
2.
H.P. Blavatsky:
3.
Ibid., p. 105.
4.
C. Jinarajadasa: H.P.B.
Speaks, T.P.H., 1951, vol. II, p. 167.
5.
Ibid., p. 230.
6.
Ibid., p. 203.
7.
Ibid., p. 209.
8.
Ibid., p. 210.
9.
Ibid., vol. I, p. 229.
10.
H.P. Blavatsky: Iside Svelata, ediz.
originale 1877, p. 575 (cfr. ediz. italiana, vol. IV, p. 312).
11.
C. Jinarajadasa: H.P.B.
Speaks, T.P.H., vol. II, p. 168.
12.
H. P. Blavatsky:
13. Dictionnaire Rhea, Paris, 1921, p. 67.
14.
Clemente Alessandrino: Stromata,
libro VII, cap. XIV.
15.
H.P. Blavatsky:
16.
Flavio Giuseppe: Antiquitates, XIV/17.
17.
Cohen: Talmud, ediz. Laterza, Bari,
1935, p. 24.
18.
Camerini: Commedia di D. Alighieri,
ediz. Sonzogno, Milano, 1906, p. 19.
19.
H.P. Blavatsky:
20.
G.B. Girardi: Elementa Hermeneuticae
Sacrae, Padova, 1923.
21. E.A. Abbott: A Guide through Greek to Hebrew
Scripture, London, 1900.
22.
Primo Vanutelli: I sinottici del Vecchio
e del Nuovo Testamento, Torino, 1928.
23. Paul
Vulliaud:
24. Paul Vulliaud: ibid., p. 244.
25.
H. P. Blavatsky: Iside Svelata,
ediz. originale, vol. II, p. 151.
26. H.P.
Blavatsky:
27. Ibid., vol.
V, p. 137.
28. Ibid., vol.
V, p. 137, 429.
29. Ibid., vol.
IV, p. 132; vol. V, p. 288.
30.
Ibid., vol. III, p. 105
(cfr. Iside Svelata, vol. II, p. 131).
31.
Zolli Israele: Il Nazareno, Udine,
ediz. I.E.A., p. 37.
32.
H.P. Blavatsky:
33. Dictionnaire Rhea, p. 15.
34. Ibid., p.
80.
35.
H.P. Blavatsky:
36.
Ibid., vol. I, p. 190; vol. III, p. 234; vol. IV, p.
49.
37.
Ibid., vol. I, p. 192; vol.
III, p. 233.
38.
Ibid., vol. III, p. 49.
39.
Ibid., vol. II, p. 148.
40.
Giov., 1/1-5.
41.
Gemoll: Dizionario Greco, sub voce.
42. H.P. Blavatsky:
43. Ibid., vol.
IV, p. 52.
44.
Ibid.
45.
Ibid., cfr. vol. I, p. 118; vol. II, p. 86; vol. V,
pp. 79, 137, 402, 498, 542.
46. Ibid., vol. I, p. 285.
47. Lc, 18/12.
48.
Ebr., IV.
49.
Cruden, sub voce cit.
50.
Dictionnaire Rhea, sub
voce.
51.
H.P. Blavatsky:
52.
Ibid., vol. II, p. 301.
53. Ibid., vol.
III, p. 358.
54.
Ibid., vol. V, p. 260.
55. Ibid.
56.
Ibid., vol. V, p. 263-4.
57.
Ibid., p. 277.
58.
Ibid., vol. III, p. 278.
59.
Mt, 1/15.
60.
Lc, 3/23-28.
61.
F. Scerbo: Lessico dei Nomi Ebraici,
Firenze, 1913, sub voce.
62.
Cfr. Sutta Nipata, ediz.
Boringhieri, Torino, 1961.
63.
H.P. Blavatsky:
64.
H.P. Blavatsky: Iside Svelata, ediz.
originale, vol. II, p. 114.
65.
H.P. Blavatsky:
66.
Mc, 9/3; Mt, 16/3; Lc, 9/30.
67.H.P. Blavatsky:
68.
H.P. Blavatsky: Iside Svelata, ediz.
originale, vol. II, pp. 306-311.
69.
H.P. Blavatsky:
70.
Ibid., vol. IV, p. 158.
71.
Mt, 27/35; Mc, 15/24; Lc, 23/33; Giov,
19/18.
72.
Mc, 16/19-20; Lc, 24/50-53.
73. H.P.
Blavatsky:
74.
Ibid., vol. V, p.
499.
75.
Giov., 10/30.
76.
Ibid., 20/19.
77.
Ibid., 14/28.
78.
Mt, 5/16.
79.
H.P. Blavatsky:
80.
Mt, 10/41; Lc, 10/16.
Cfr. Ch. Schoettgen: Horae Hebraicae et Talmudicae, Francoforte s/M.,
1733.
81.
Mt, 5/48; Lc, 6/31.
82.
Lc, I/67.
83.
Mt, 18/12.
84.
Lc, 1/39.
85.
Lc, 15/14.
86.
Mt, 3/I.
87.
Mt, 16/17.
88.
Mt, 6/12.
89.
Lc, 11/4.
90.
Clemente di Alessandria: Stromata,
vol. I, cap. XII.
91.
H.P. Blavatsky:
92.
Mc, 4/11-12.
93.
H.P. Blavatsky:
94.
Bonaventura: Itinerarium Mentis in Deo,
ediz. S.E.I., p. 22.
95.
Ch. Guignebert: Gesù, ediz. Einaudi,
Torino, p. 301.
96.
Ibid., p. 302.
97.
A. Loisy: Jésus et
98. Bonaventura:
op. cit.
99.
D. Alighieri: Divina Commedia,
“Paradiso” I/5-6.
N.B. - Salvo diversa indicazione, tutte le
citazioni de
Conferenza tenuta il 31 maggio 1970 al 56° Congresso
della Società Teosofica Italiana a Tremezzo.